Un impero economico in grado gestire volumi di gioco per circa 100 milioni di euro, mettendo le mani sulle concessioni statali rilasciate dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per la raccolta di giochi e scommesse sportive. Grandi affari e acquisizioni realizzati in tempi di Covid. Perchè la mafia - si è dimostrato ancora una volta - non va mai in lockdown. E' la fotografia della Guardia di finanza che ha svelato una volta di più la capacità di Cosa nostra di gestire con grandi profitti settori come quello dei giochi e delle scommesse.
Dieci le misure cautelari eseguite nel blitz coordinato dalla Dda di Palermo, con sequestri per 40 milioni che hanno interessato imprese in Sicilia, Lombardia, Lazio e Campania, cinque delle quali titolari di concessioni governative; 9 agenzie scommesse, a Palermo, a Napoli e in provincia di Salerno. Negli anni, e anche nell'ultimissimo periodo, grazie ad abilità imprenditoriali e ai vantaggi derivanti dalla vicinanza ai clan, gli indagati hanno acquisito la disponibilità di un numero sempre maggiore di licenze e concessioni per l'esercizio della raccolta delle scommesse.
Una "rilevante capacità economica", viene detto da chi indaga, sviluppata è testimoniata dalle acquisizioni patrimoniali operate negli ultimi mesi, "a conferma della concreta minaccia delle infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto economico legale, oggi in seria difficoltà a causa delle conseguenze derivanti dall'emergenza epidemiologica connessa alla diffusione del Covid-19". Infatti, il gruppo imprenditoriale, in quest'ultimo periodo, ha acquistato, nel quartiere Malaspina, senza necessità di contrarre finanziamenti bancari un immobile dichiarato a partire dallo scorso febbraio come ufficio amministrativo di una delle società del gruppo; il 15 maggio scorso un'ulteriore agenzia scommesse, entrambi oggetto del provvedimento di sequestro eseguito.
Insomma, sono chiari, spiegano le Fiamme gialle, i "segnali di inquinamento dell'economia da parte delle consorterie criminali mafiose", connessi "alla disponibilità e all'investimento di capitali di provenienza illecita e allo sfruttamento della contingenza emergenziale quale volano per l'infiltrazione della mafia nel tessuto produttivo nazionale". Una "sistematica ricerca del potere economico" da parte di Cosa nostra messo in campo da un gruppo di imprese gravitante intorno alle figure centrali di Francesco Paolo Maniscalco, già condannato per la sua appartenenza alla famiglia di Palermo Centro, e di Salvatore Rubino che ha messo a disposizione dei clan la propria abilità imprenditoriale al fine di riciclare denaro e di esercitare un concreto potere di gestione e imposizione sulla rete di raccolta delle scommesse.
L'ambizioso progetto imprenditoriale che faceva leva sulla partecipazione a bandi pubblici e sulla gestione delle concessioni statali rilasciate dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per la raccolta di giochi e scommesse sportive, ha beneficiato di finanziamenti provenienti sia dal mandamento di Porta Nuova, a opera del 'cassiere' che ha investito liquidità destinate anche al sostentamento dei carcerati, sia dal mandamento di Pagliarelli, attraverso l'acquisto di quote societarie da parte di imprenditori collusi vicini al reggente del momento.
Anche i massimi vertici del mandamento Pagliarelli, il padrino Settimo Mineo, capo dell ricostituita Cupola, e Salvatore Sorrentino, sono stati chiamati in causa proprio per dirimere alcuni contrasti relativi alla fase di liquidazione dell'investimento. L'espansione sul territorio della rete di agenzie scommesse e di corner gestiti tramite le imprese sequestrate è stata garantita dall'ombrello di protezione delle famiglie mafiose con le quali gli indagati si sono costantemente rapportati. Insomma, negli anni, grazie alla loro abilità imprenditoriale e ai vantaggi derivanti dalla vicinanza ai clan, gli indagati hanno acquisito la disponibilità di un numero sempre maggiore di licenze e concessioni per l'esercizio della raccolta delle scommesse, fino alla creazione di un impero dei giochi.