AGI - Non si placa la polemica sulle parole del primario del San Raffaele, Alberto Zangrillo, che ieri ha definito il Covid "morto dal punto di vista clinico". All'indomani di quello che è ormai diventato un caso mediatico, il medico si dice "assolutamente non pentito". E rincara: "Una cosa che trovo fastidiosa di questo Paese è che i clinici siano da una parte e gli scienziati dall'altra. Noi dobbiamo intenderci sulla qualifica di scienziato, perché se andiamo a vedere i parametri, e vi invito a controllare la letteratura scientifica, io sono molto più scienziato di tanti autoproclamatosi scienziati, anche del Comitato tecnico scientifico".
Poi si dice "rinfrancato dalla forza della verità, perché quello che ho detto non è che il virus è scomparso come maliziosamente qualche testata ha messo nei titoli. Io sono certo che il virus sia ancora tra di noi, pero' ci sono tanti virus tra di noi. Io ho detto testualmente 'il virus è clinicamente inesistente, scomparso'. Se uno omette il clinicamente per farmi del male, fa del male a se stesso".
Quanto all'accusa di lanciare messaggi fuorvianti, Zangrillo ha sottolineato: "Non invito i ragazzi a festeggiare nelle piazze senza mascherine abbracciandosi o baciandosi. Io invito alla prudenza e a osservare le norme di buonsenso che ci porteranno nel giro di un mese a dimenticarci del dramma che abbiamo vissuto. Quando dico queste cose, le dico con un retropensiero molto doloroso a tutte le persone che non ce l'hanno fatta e ai loro congiunti".
Cosa aveva detto Zangrillo
"Mi viene veramente da ridere - ha dichiarato ieri Zangrillo a 'Mezz'ora in più su Raitre - Oggi è il 31 di maggio e circa un mese fa sentivamo gli epidemiologi dire di temere grandemente una nuova ondata per la fine del mese, o per inizio di giugno, e che chissà quanti posti di terapia intensiva c'erano da occupare... In realtà il virus, praticamente, dal punto di vista clinico non esiste più". Il primario rileva che "i tamponi eseguiti attualmente negli ultimi dieci giorni hanno una carica virale, dal punto di vista quantitativo, assolutamente infinitesimale rispetto a quelli eseguiti su pazienti di un mese, due mesi fa". Ed è "la verità, la dico ufficialmente, tutti gli italiani se ne facciano una ragione". Zangrillo ha sottolineato le sue affermazioni dicendo: "Ci metto la firma".
Cosa risponde Maga
"Non entro nel merito del problema del comunicare la scienza 'chi e come', se non per dire che i comunicatori della scienza professionisti (e in Italia purtroppo ce ne sono ancora pochi rispetto ad altri Paesi) sono fondamentali, così come è fondamentale che i loro interlocutori siano gli scienziati, ma sulle dichiarazioni del dottor Zangrillo ho qualche riserva", ha detto all'AGI, Giovanni Maga, direttore dell'Istituto di Genetica Molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche di Pavia. "Ipotizzare che questo virus scomparirà come la Sars - ha spiegato - è azzardato. Ricordiamo che anche la MERS non è scomparsa ma circola tutt'ora. Si tratta poi di due virus con caratteristiche molto diverse da un punto di vista epidemiologico e questo andrebbe spiegato".
"Se è vero, come è vero, che clinicamente le manifestazioni della patologia Covid-19 sono in generale più lievi, è anche vero - aggiunge il direttore dell'Istituto di Genetica Molecolare - che abbiamo ad oggi in Italia oltre 40.000 persone positive censite, di cui circa 6000 ricoverate e oltre 400 in terapia intensiva. Io - precisa - non sono un medico, ma penso che non sia possibile garantire che tutti i malati avranno un esito benigno tale da giustificare l'affermazione che Covid-19 non è più un problema clinico. Certamente un centinaio di decessi al giorno sono in assoluto pochi (non certo per chi ne fa le spese), così come pochi sono alcune centinaia di nuovi casi positivi (con tutti i limiti che questi numeri hanno e ben sappiamo). Pero', posto che anche negli scenari più ampi difficilmente potremmo pensare di avere raggiunto una soglia prossima a garantire l'immunità di gruppo (che sarebbe circa 30 milioni di persone immuni), esiste una quota significativa di persone suscettibili".
Quando si spegne un'epidemia
Nel modello classico epidemiologico - ha spiegato Maga - "l'epidemia si spegne se il tasso con cui le persone guariscono è superiore a quello con cui si infettano. Il serbatoio che fa crescere le infezioni è dato dalle persone suscettibili: se il loro numero è ancora molto grande, il rischio di epidemia rimane, a meno che non ci sia qualche elemento che diminuisca o il rischio di esposizione o il rischio di infettarsi se esposti. Dato che al momento non c'è nessun dato che dimostri che il virus è cambiato geneticamente, diventando più "debole", le misure di contenimento sono il motore principale che ha ridotto le infezioni".
È senz'altro possibile - specifica Maga - che esistano fattori ambientali che in questa stagione riducono anche l'infettività, "ma potrebbero essere transienti (cioè mutare nel tempo) e quindi per me è difficile affermare che il problema 'non esiste più neppure dal punto di vista squisitamente clinico. Fin tanto che il virus circola in una popolazione suscettibile, il rischio epidemia non è zero. La decisione è quindi unicamente del tipo rischio/beneficio: il rischio epidemico conseguente ad un allentamento e/o abbandono delle misure di contenimento è inferiore al beneficio che ne deriverebbe in termini di costi sociali?".
"Io - ha concluso Maga - non ho la risposta, mi limito ad osservare che stiamo attraversando una fase sicuramente positiva dell'epidemia, che è in regressione e potrebbe spegnersi presto. Ma, come sanno bene tutti quelli che studiano i virus, le dinamiche delle epidemie non sono sempre prevedibili in maniera assoluta. La situazione attuale della Corea del Sud lo dimostra".
Cosa pensa Pregliasco
"La situazione attuale ci dovrebbe rasserenare, il virus sta ancora circolando, ma in misura notevolmente minore e meno aggressiva", ha commentato all'AGI Fabrizio Pregliasco, virologo dell'Istituto Galeazzi di Milano. "Il dottor Zangrillo ha evidenziato una situazione che nota il suo ospedale, ma che stanno osservando anche molti altri colleghi, e cioè il fatto che le manifestazioni cliniche dei nuovi malati di COVID-19 siano meno pesanti, con un coinvolgimento minore dal punto di vista delle polmoniti. Si tratta di un'evidenza, non sappiamo ancora a cosa siano dovute queste variazioni, ma la carica virale è nettamente diminuita", afferma Pregliasco.
"Il virus sta circolando meno, ma dobbiamo comunque essere preparati in caso si verificassero nuovi focolai. Si tratta pero' di una situazione che ci deve rassicurare in vista delle riaperture, necessarie per aspetti non solo psicologici e sociali, ma anche economici", osserva ancora l'esperto, sottolineando che i nuovi casi di contagio presentano una sintomatologia e una carica virale inferiore e più gestibile, secondo quanto emerge dai primi riscontri, come lo studio sui 200 pazienti del San Raffaele citato da Zangrillo.
"Un'indagine dell'Università di Brescia ha inoltre evidenziato una variante virale meno aggressiva. Dobbiamo ancora verificare se questa mutazione sia il ceppo attualmente prevalente o se quello riscontrato dai colleghi sia un caso singolo. Ad ogni modo oggi la capacità di monitorare la popolazione attraverso screening sierologici e una aumentata disponibilità di tamponi ci apre un mondo di soggetti precedentemente non rilevabili", aggiunge Pregliasco, spiegando che il monitoraggio dei pazienti asintomatici può essere fondamentale per limitare la diffusione del virus nel prossimo futuro e mantenere basso il livello del rischio.