"Abbiamo fatto alcune proiezioni, alcune stime. Le più ottimistiche calcolano una diminuzione delle entrate intorno al 25 per cento. Le più pessimistiche intorno al 45 per cento. Noi non siamo in grado di dire oggi se ci sarà una diminuzione delle donazioni all'Obolo, o una diminuzione dei contributi che arrivano dalle Diocesi". Lo dice, in una intervista pubblicata su Vatican News, Juan Antonio Guerrero Alves, prefetto della Segreteria per l'Economia del Vaticano.
Comunque, aggiunge il prefetto, "il Vaticano non rischia il default", anche se "questo non vuol dire però che non dobbiamo affrontare la crisi per quella che è. Abbiamo sicuramente davanti anni difficili". Infatti "la Chiesa compie la sua missione con l'aiuto delle offerte dei fedeli. E non sappiamo quanto la gente potrà donare. Proprio per questo dobbiamo essere sobri, rigorosi. Dobbiamo amministrare con la passione e la diligenza del buon padre di famiglia".
"Ci sono tre cose che non sono in discussione, nemmeno in questo tempo di crisi: la retribuzione dei lavoratori, gli aiuti alle persone in difficoltà e il sostegno alle Chiese bisognose"precisa Guerrero, "Nessun taglio riguarderà chi è più vulnerabile. Non viviamo per salvare i budget. Abbiamo fiducia nella generosità dei fedeli. Ma dobbiamo dimostrare a chi ci dona parte dei suoi risparmi che i suoi soldi sono ben spesi. Ci sono tanti cattolici nel mondo disposti a donare per aiutare il Santo Padre e la Santa Sede a compiere la propria missione. è a loro che dobbiamo rendere conto. E a loro che possiamo ricorrere".
A differenza di altri paesi, spiega ancora il gesuita chiamato lo scorso novembre da Papa Francesco a coprire uno degli incarichi più delicati della curia, "noi non abbiamo nè la leva della politica monetaria e nè quella della politica fiscale. Noi possiamo contare solo sulla generosità dei fedeli, su un piccolo patrimonio e sulla capacità di spendere meno. Contrariamente a quello che in tanti pensano non ci sono grandi salari qui".
In particolare "i numeri sempre vanno capiti. Dietro questi numeri c'è il fine. Dentro il bilancio c'è la missione, il servizio che queste spese rendono possibile. Forse dobbiamo spiegare meglio, raccontare meglio. Sicuramente dobbiamo essere chiari". I numeri sono questi: "tra il 2016 e il 2020 sia le entrate che le uscite sono state costanti. Le entrate intorno ai 270 milioni. Le spese in media intorno a 320 milioni, a seconda dell'anno. Le entrate derivano da contributi e donazioni, rendimenti degli immobili e in misura minore dalla gestione finanziaria e dalle attività degli Enti".
Un contributo importante è poi quello del Governatorato dello Stato Città del Vaticano; "e dipende in larga (ma non esclusiva) misura dai Musei oggi chiusi e nella restante parte dell'anno in probabile difficoltà per la ripresa che sarà lenta".
Insomma, se si guarda "solo ai numeri e alle percentuali, potrei dire che le uscite si distribuiscono più o meno cosi': 45% personale, 45% spese generali e di amministrazione e 7,5% donazioni. O potrei dire che il deficit (la differenza fra entrate e uscite) negli ultimi anni ha oscillato fra 60 e 70 milioni".
Ora, prosegue Guerrero, "sulla sola base di questi numeri qualcuno potrebbe pensare che il deficit è un buco che deriva da cattiva amministrazione. O che finanzia una burocrazia immobile. Non è così. Niente a che vedere con questo. Dietro questi numeri c'è la missione della Santa Sede e del Santo Padre, c'è la pienezza della vita e del servizio ecclesiale".
In particolare "non è giusto dire che il deficit si finanzia con l'Obolo di S. Pietro come se l'Obolo riempisse un buco. L'Obolo anche è una donazione dei fedeli: finanzia la missione della Santa Sede, che include la carità del Papa, e che non ha ricavi sufficienti".
"Ci sono le tasse italiane, che paghiamo: il 6 per cento circa del budget, cioè 17 milioni", ricorda infine padre Juan Antonio Guerrero Alves.