Un'idea "inaccettabile, perché interviene in modo inammissibile sull'autonomia del giudice e risponde a esigenze di pura propaganda politica e non di giustizia". Così il presidente dell'Unione delle Camere penali Gian Domenico Caiazza, intervistato dall'AGI, commenta l'annuncio del Guardasigilli Alfonso Bonafede relativo al nuovo decreto legge per far rivalutare dai giudici le scarcerazioni di esponenti della criminalità organizzata, oggi ai domiciliari per l'emergenza coronavirus. "Premesso che è impossibile dare un giudizio su un provvedimento che non c'è - afferma il leader dei penalisti - certo è una pretesa teorica inaccettabile immaginare di porre al giudice l'obbligo di rivalutazioni. È una forma di intervento indebito sull'autonomia della valutazione del magistrato".
Caiazza osserva, quindi, che "esistono già strumenti processuali attraverso i quali intervenire, come il ricorso da parte del procuratore generale: l'ufficio della pubblica accusa - sottolinea il leader degli avvocati penalisti - viene già regolarmente interpellato, e per la gran parte di questi provvedimenti di scarcerazione c'è stato il parere favorevole della procura generale. Dove non c'e', il provvedimento puo' essere impugnato, si puo' fare ricorso in Cassazione".
Il decreto annunciato, dunque, "risponde ad esigenze di tipo propagandistico: il ministro ora sente la necessità di dover fare la parte del più antimafioso degli antimafiosi, in gara con Di Matteo. È uno spettacolo desolante".
"Di Matteo? È il ministro che sceglie il capo del Dap"
La "discrezionalità politica è una prerogativa che non può essere messa in discussione: il ministro, un politico, fa la sua scelta su una nomina, che può essere sindacata dall'elettorato, dal Parlamento, ma certo non da un magistrato e tanto meno dal potenziale beneficiario della nomina", afferma Caiazza a proposito della 'querelle' scoppiata tra il Guardasigilli Alfonso Bonafede e l'ex pm Nino Di Matteo, oggi togato al Csm, su quanto accadde nel giugno 2018, quando il ministro scelse Francesco Basentini per la guida del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria e non lo stesso Di Matteo.
"È inaccettabile - ha ribadito Caiazza - che un magistrato si metta a fare insinuazioni o pubbliche discussioni su una scelta che è esclusivamente politica. Non esiste il diritto di Di Matteo a essere nominato capo del Dap, non capisco cosa c'è di scandaloso se il ministro, dopo un'interlocuzione con Di Matteo che si prese 24 ore di tempo per decidere, nel frattempo fece un'altra scelta".