Un punto di vista in controtendenza rispetto a quello dei vescovi italiani, che hanno alzato le barricate per una 'Fase 2' post pandemia senza la riapertura immediata delle chiese: è quello di Frate Alberto Maggi, biblista e direttore del Centro studi biblici di Montefano (Macerata). Secondo il religioso “la salute delle persone è molto più importante di una celebrazione”. Padre Maggi ha risposto così ad alcune domande dell’AGI.
Che cosa pensa della lettera inviata dalla Cei al Governo?
Ai vescovi non farebbe male una passeggiata nelle corsie per vedere le persone intubate. Non bisogna considerarli tanto, perché vivono in un’altra epoca, e in un altro mondo. Hanno pratica delle chiese e della gente? Premesso che l’eucaristia è il momento più importante e indispensabile per la comunità dei credenti, adesso non ci sono le condizioni per celebrarlo. Siamo ancora in una fase delicata: il rischio è che si torni in una situazione ancora più difficile. Come si fa a celebrare con le mascherine o con il prete che misura la febbre all’ingresso della chiesa? Gran parte dei partecipanti alle celebrazioni è anziana, far mettere la mascherina sarà difficile. E poi il momento principale è la distribuzione della comunione, come la diamo? Ci igienizziamo le mani ogni volta? La lanciamo? Se il fedele ha la mascherina, che cosa fa? Abbassa la mascherina?
Immagini poi il povero parroco che disinfetta i banchi...
Non vede quindi una messa in pericolo della libertà di culto?
La libertà di culto tanto sbandierata è essere responsabili della salute delle persone, non di infettare la gente. Proviamo a immaginare la situazione: io che celebro l’eucaristica, come faccio a sapere se sono asintomatico? E che ogni comunione che do non trasmetto il virus? Non ci voglio neanche pensare ad una responsabilità del genere.
Insomma è meglio seguire le regole e tenere le chiese chiuse…
È una cosa talmente comica che non ci sarebbe nemmeno da parlarne e perdere tempo. Le chiese sono chiuse e restano chiuse checché ne dicano i vescovi. Perché la salute delle persone è molto più importante di una celebrazione. Non ci sono le condizioni per tenere le chiese aperte: ancora il virus è in giro ed è pericoloso.
Qualcuno ha detto che la Cei ha voluto sottolineare che ‘non di solo pane vive l’uomo’, e che andare a lavorare non può essere più importante di un’esigenza spirituale.
La verità è che senza lavoro non si campa, senza culto si campa benissimo. Questa è una cosa importante, anche se mi sembra ovvia. Senza lavoro non si può andare avanti, senza la celebrazione della Messa si campa ugualmente bene, c’è tanta gente che non partecipa mai all’eucaristica e vive lo stesso.
Come si concilia però questo con una religione che ha anche bisogno dei suoi riti che si rinnovano?
Nei primi secoli del cristianesimo non c’erano le chiese eppure sono stati i più vivaci per la crescita della comunità cristiana. L’eucaristia si celebrava nelle case e il cristiano si riconosceva per la sua attenzione verso gli ultimi. Il successo del cristianesimo è stato proprio che i paria della società hanno scoperto che anche loro avevano una dignità. Non è stato nelle basiliche.
A suo avviso a che cosa è dovuta la presa di posizione della Cei?
La Cei parla perché deve parlare, oppure avrà delle pressioni. Ma c’è anche un altro fattore: i preti anziani, abituati al rito, senza la celebrazioni si sentono disoccupati.
Ce ne sono anche di più giovani, però, che hanno seguito la linea dei vescovi…
I preti giovani sono spesso scodinzolanti con le liturgie e i paramenti. Per non parlare dell’ultima sfornata uscita sotto Papa Ratzinger: tutti pizzi e merletti e poca cultura. Siamo realisti: le categorie a rischio sono gli anziani, e sono proprio loro a partecipare di più alle funzioni. Possiamo dare la comunione, certo, e magari fare un pacchetto unico con anche l’estrema unzione, così risolviamo il problema...
Secondo lei, la sua posizione all’interno della Chiesa è minoritaria o maggioritaria?
Io credo che la mia posizione sia maggioritaria, ma non tutti hanno il coraggio o la capacità di dirlo. Una persona di buonsenso capisce che non è il momento di riaprire: la chiesa non è una fabbrica. Chi disinfetterebbe strutture che a malapena trovano qualcuno di buona volontà che faccia le pulizie, in tempo ordinario?
Ci sono invece a suo avviso delle opportunità che nasceranno da questa pandemia?
Questa poteva essere un’occasione provvidenziale per scoprire che il Signore sta nella vita, non nelle celebrazioni. Il Signore sta fuori delle chiese. Quanti gesti di altruismo stanno nascendo? È nella solidarietà che bisogna cercarlo. Abbiamo chiuso le chiese, ma non per questo abbiamo smesso la nostra attività, anzi siamo impegnati come non mai. Noi ad esempio leggiamo il Vangelo su Youtube: ieri c’erano più di 500 persone collegate che hanno ascoltato per oltre un’ora e ci hanno mandato messaggi di gratitudine. Se il Signore è Pane anche la Parola è Pane che alimenta la vita. Perché non far riscoprire la bellezza della Parola e del servizio verso gli altri? Le chiese le riapriremo e quando lo faremo suoneranno le campane a festa, ma dovranno esserci tutte le condizioni.