Non solo la giovane mamma guarita dal Covid-19 grazie al plasma iperimmune, di cui è stata data notizia qualche giorno fa, ma all’ospedale di Mantova sono già 20 le persone che hanno avuto un beneficio dalla trasfusione di quella parte di sangue che contiene anticorpi già sviluppati. A dirlo all’AGI è il dottor Massimo Franchini, ematologo e primario del centro trasfusioni dell’ospedale Poma.
Venti giorni fa, all’inizio della sperimentazione il dottore, ci aveva parlato di ‘speranza’, invece oggi abbiamo fatto “un passo in più”. E uno ulteriore potrebbe essere fatto se tutte le altre strutture della Lombardia che ne hanno fatto richiesta potranno aderire al trial clinico: “Si potrebbe arrivare ad almeno 500 pazienti”.
Nei 20 giorni di sperimentazione “si sono potute osservare molte cose - spiega Franchini - Prima di tutto il tipo di paziente su cui l’immunoterapia passiva funziona, ovvero colui che ha già una sindrome da distress respiratorio di grado medio-severo e ha avuto l’insorgenza della malattia da meno di 10 giorni”.
In molti casi i soggetti sono già aiutati a respirare con il casco C-pap. “Da quello che abbiamo potuto osservare la precocità dell’intervento sembra decisiva nella terapia col plasma”. E il miglioramento avviene con una velocità sorprendente: “Da poche ore a pochi giorni”.
Insieme al San Matteo di Pavia, l’ospedale Poma di Mantova è in prima linea nella sperimentazione della cura del Covid-19 con il plasma convalescente iperimmune. E i risultati hanno già fatto il giro del monod: “Ci arrivano telefonate da reparti di tutta Italia, perfino da Sassari, ma anche dall’estero: Inghilterra e Stati uniti ci chiedono informazioni”.
Dal plasma come cura ad un passo in più, che si potrebbe realizzare a breve: usarlo come profilassi per le persone più esposte al virus, come i sanitari. In Usa, ad esempio “sarà avviata una sperimentazione su 30 infermieri e medici a cui sarà infuso preventivamente il plasma iperimmune, per aiutare le loro difese nel caso in cui venissero infettati”, spiega Franchini; e precisa che comunque l’infusione ha “un’efficacia di massimo due o tre settimane; ma potrebbe essere ripetuta al bisogno”.
Non vanno dimenticati i vantaggi di questa procedura: è poco costosa e non ci sono problemi di reperibilità della materia, che - ricorda - “deriva dal sangue umano, debitamente trattato; il sangue di persone che sono guarite e che hanno sviluppato gli anticorpi nei confronti del coronavirus”.
A Mantova, “abbiamo centinaia di donatori e ormai una biologa della nostra equipe è dedicata ogni giorno a selezionare e smistare tutti i volontari che desiderano donare il proprio sangue”.
L’appello del dottor Franchini - che assicura che il suo reparto “continuerà a produrre plasma finché ce ne sarà bisogno” - è però di “fare presto” ad allargare la platea di persone da sottoporre alla terapia, anche in vista di una prossima ondata di contagio che si potrebbe verificare in autunno.