“Il policentrismo confusionale non funziona, sconcerta e non è in linea con le configurazioni istituzionali. In una situazione di emergenza come quella attuale a prevalere dovrebbe essere il provvedimento nazionale”. Il costituzionalista Cesare Mirabelli non ha dubbi: il continuo valzer delle ordinanze “non può che ingenerare caos".
"C’è una coincidenza di tempi e una contrapposizione di contenuti quasi permanente tra governo e Regioni - spiega -. In precedenti Dpcm è stata lasciata a livello locale la possibilità di adottare misure diverse, anche più severe, ma poi è successo, ad esempio, che le restrizioni all’ingresso in Sicilia attraverso lo stretto di Messina siano state annullate. Ma non possiamo arrivare alla giurisdizionalizzazione dei rapporti, la diffusione del virus non aspetta le decisioni dei tribunali”.
Nel conto, sottolinea Mirabelli, va messo anche “il disorientamento dell’opinione pubblica, con i cittadini che si chiedono legittimamente come mai un comportamento che è consentito e in qualche misura addirittura incoraggiato in una determinata area, sia invece proibito e addirittura punito con delle sanzioni appena lasciata quell’area. Bisognerebbe capire se la diversità di scelte nasce da valutazioni epidemiologiche locali che giustificano questo o quel provvedimento - e in questo caso allora anche il governo dovrebbe tenerne conto - o da valutazioni di tipo ‘politico’ dei diversi interessi in gioco: la produzione, il lavoro, la salute”.
Sulla stessa lunghezza d'onda Alfonso Celotto, docente di diritto costituzionale all'universita' Roma Tre. Per lui l'eccesso di ordinanze locali e' "un altro segno del fatto che qualcosa non funziona nel nostro sistema: ogni sindaco e ogni presidente di Regione adotta misure diverse, sicuramente animato dalle migliori intenzioni, ma resta il dubbio che in qualche caso ci sia anche smania di protagonismo, una sorta di rincorsa al rialzo fino ad arrivare a casi come quello di Messina".
"In materia di Covid - ricorda Celotto - fino ad oggi io ho contato 250 ordinanze statali, 400 regionali e 40mila comunali, senza che ne esista alcun archivio. Provvedimenti che di regola non sono forniti di una adeguata motivazione, alimentando nei cittadini il dubbio che chi le prende non abbia poi le idee così chiare. Il pericolo, da non sottovalutare, è che tutto questo crei incertezza e disaffezione verso lo Stato, se non in qualche caso vere e proprie forme di 'disobbedienza civile'".
Quanto alla task force di Vittorio Colao chiamata a calibrare la ‘fase 2’, “mi sembra che abbia una funzione puramente consultiva - osserva Cesare Mirabelli -. Non assume, non integra, non sostituisce poteri governativi o dei singoli ministeri. Non vedo possibili conflitti, dobbiamo però chiederci se funziona, se le misure proposte sulla base della conoscenza e dell’analisi dei dati disponibili si tradurranno poi effettivamente in provvedimenti”.
Per Celotto "il rischio è quello di complicare, anzichè semplificare. Un vecchio vizio della burocrazia italiana, amplificato dalla crisi: troppe strutture, in parte sovrapposte, e prive di coordinamento. Bisognerebbe capire bene che cosa sia - premette il costituzionalista -. Se fa solo consulenza è un Comitato tecnico scientifico chiamato a dare dei pareri di cui poi il decisore politico terraà o no conto; se invece eè una struttura operativa, in grado di prendere delle decisioni, va inevitabilmente in conflitto con i singoli ministeri".
Il nodo da sciogliere, allora, diventa proprio questo: "In circostanze eccezionali come quelle attuali sarebbe il caso di creare una struttura in deroga - penso ad esempio al commissario di Genova - sottraendo competenze ad altri: altrimenti rischi solo di creare duplicazioni e, alla fine, di non decidere".