È Alessandro Politi il giornalista che ha costretto la trasmissione Le Iene a fermarsi. Questo a causa di una febbre alta, tosse e mal di testa, rivelatesi poi conseguenze della positività al coronavirus. Oggi Politi, sul sito de Le Iene, ci tiene a postare un video per raccontare non solo la sua esperienza ma tutti i risvolti della faccenda e delle domande che potrebbero rivelarsi fondamentali.
“Il 5 marzo – racconta Politi - mi sono svegliato con un forte mal di testa, febbre alta e un po’ di tosse. In quel momento non c’erano ancora i decreti di chiusura. Provo in tutti i modi a farmi fare un tampone, anche se non vogliono farmelo perché non ho una sintomatologia così grave. Comunque in ospedale spiego che sono un giornalista e sarei potuto entrare in contatto con tantissime persone”.
I medici a quel punto si convincono e, come già detto, il tampone da esito positivo. Dal punto di vista dei sintomi la cosa si risolve come una normale influenza: una tachipirina abbassa la temperatura e tosse e mal di testa due giorni dopo sono spariti; tant’è che, ammette la iena, “Se non avessi fatto il tampone, avrei pensato di avere un’influenza”.
Da quel giorno Politi rispetta rigorosamente le due settimane di quarantena, passate senza alcun problema di salute, eppure dopo 17 giorni dal primo tampone, al secondo controllo risulta ancora positivo. “Passano altri dieci giorni e il 3 aprile, - prosegue il giornalista - faccio un altro tampone. Ormai è quasi un mese che sono senza sintomi, ma l’esito è sempre lo stesso: pienamente positivo. Ho chiesto se è normale, i medici hanno ipotizzato che potrei aver preso una carica virale più aggressiva. Il mio corpo fortunatamente la sta gestendo bene ma ci vuole più tempo per debellarla”.
A questo punto però all’inviato del programma di Mediaset sorge un dubbio del tutto legittimo: “Perché le istituzioni permettono a persone che hanno avuto i miei stessi sintomi di uscire di casa dopo 15 giorni senza aver ricevuto un tampone? E quante persone potrebbero essere a lavorare con il rischio di diffondere il virus?”, ma soprattutto “Come si è deciso che i quindici giorni siano sufficienti, se io dopo trenta giorni sono ancora positivo? Non è che forse il contagio tarda a fermarsi anche per questo motivo?”.
L’invisibilità del COVID-19 resta la sua caratteristica più pericolosa. La preoccupazione della iena Politi è assolutamente fondata. Quanti casi come il suo si saranno verificati? Quanta gente in questo momento va a lavoro o anche semplicemente rispetta diligentemente lo stato di quarantena a contatto con familiari ai quali potrebbe trasmettere il virus?