Era stato più che annunciato, il deserto del popolo di Dio, ma le arcate e le navate vuote di San Pietro, mentre si legge il vangelo secondo Matteo, ricordano una volta di più la portata e la pericolosità del morbo che ormai fa strage in tutti i continenti.
Papa Francesco, vestito di pallio bianco e paramenti rossi, tiene in mano una palma fatta di giunchi intrecciati passando in mezzo a due albero d’olivo, posti alla base dei pilastri che reggono l’arco trionfale.
La Basilica ospita non più di trenta persone: oltre a lui tre presbiteri che lo assistono nella celebrazione, altri tre che fungono da lettori, sette siedono di lato, sotto l’organo, Sulle panche seguono la liturgia in dodici tra prelati, religiose e laici. Le distanze tra gli uni e gli altri sono di sicurezza, ed il senso di spopolamento ne è aumentato invece che sminuito.
Dietro le spalle del Pontefice l’icona della Madonna Salvezza del Popolo Romano: da quando l’epidemia è entrata nella sua fase più acuta Bergoglio l’ha fatta venire in Vaticano da Santa Maria Maggiore, dove viene conservata da secoli.
Il popolo romano, di cui il papa è vescovo, diviene così epitome del mondo intero: sia salvato dal flagello, l’uno come l’altro. All’altare della Cattedra, dove il Papa celebra, il crocifisso miracoloso di San Marcello al Corso.
Domina visivamente la celebrazione, non solo per la sua collocazione: oggi si ricorda l’ingresso trionfale di Cristo in Gerusalemme e subito dopo quella catena di tradimenti, vigliaccherie, abbandoni cinismo indifferenza e sangue che portò alla morte infamante del giusto. “Tristezza e angoscia”, sintetizzando la lettura, e difficilmente due diversi vocaboli potrebbero descrivere meglio il panorama lasciatoci dal dramma della pandemia.
“Dramma” dice due volte Francesco, ad indicare un senso di disperazione che può pervadere l’animo a vedere cosa stia accadendo. E viene da chiedersi, proprio come Cristo prima di rendere lo spirito, “perché mi hai abbandonato?”.
“Siamo al mondo per amare Lui e gli altri”, risponde Bergoglio, “Il resto passa, questo rimane. Il dramma che stiamo attraversando in questo tempo ci spinge a prendere sul serio quel che è serio, a non perderci in cose di poco conto; a riscoprire che la vita non serve se non si serve”.
Un momento in cui si deve riflettere, oltre ad agire. Riflettere su quello che accade e sul suo senso profondo, agire per servire di fronte all’emergenza, e ricostruire una scala di autentici valori ora che “tante certezze si sgretolano”, “di fronte a tante aspettative tradite, nel senso di abbandono che ci stringe”.
Qualcuno ha dato la vita per l’uomo, chiediamogli “la grazia di vivere per servire”. Declinando il concetto in termini laici, si chiama solidarietà. “Cerchiamo di contattare chi soffre, chi è solo e bisognoso”, spiega il Papa in questo catechismo erga omnes con cui si rivolge anche ai non credenti, “Non pensiamo solo a quello che ci manca, pensiamo al bene che possiamo fare”.
E il Servo dei Servi di Dio (titolo papale che è stato mantenuto anche in occasione dei recenti ritocchi all’Annuario Pontificio), scandisce: “Ecco il mio servo che io sostengo. Il Padre, che ha sostenuto Gesù nella Passione, incoraggia anche noi nel servizio”.
Non è cosa facile: “amare, pregare, perdonare, prendersi cura degli altri, in famiglia come nella società, può costare. Può sembrare una via crucis”. "Pensiamo al bene che possiamo fare" perché “la via del servizio è la via vincente, che ci ha salvati e che ci salva, ci salva la vita”.
La prima cosa da fare è recuperare i veri valori di riferimento. Usare il discernimento per distinguerli nel chiasso e nella confusione dell’effimero edonista. “Vorrei dirlo specialmente ai giovani”, spiega Francesco ricordando la Giornata mondiale della Gioventù che cade oggi, ma anch’essa subisce le limitazioni di ogni ricorrenza. Più tardi, all’angelus, ricorda che ad esempio lo sport può insegnare lo spirito di sacrificio, la tenacia e la resistenza.
“Cari amici, guardate ai veri eroi, che in questi giorni vengono alla luce: non sono quelli che hanno fama, soldi e successo, ma quelli che danno sé stessi per servire gli altri” si rivolge ai giovani il Pontefice, “Sentitevi chiamati a mettere in gioco la vita. Non abbiate paura di spenderla per Dio e per gli altri, ci guadagnerete. Perché la vita è un dono che si riceve donandosi”.
Chi siano questi uomini e queste donne eccezionali il Papa lo ha già detto più volte nel corso delle due omelie da Santa Marta: forze dell'ordine, medici, infermieri, addetti alle pulizie e dipendenti dei supermercati. Li ha definito eroi di tutti i giorni e di tutte le ore. Sono coloro che, in silenzio, continuano a fare il loro dovere nonostante tutto.
Il loro, spiega, è un esempio di "amore senza se e senza ma". Come quello di Dio per l'uomo, per il suo unico Figlio, che pure un giorno morì gridandogli: "Perché mi hai abbandonato?