Sacerdote diocesano, missionario nel Burkina Faso e prima anche marito e padre di famiglia: è la storia di don Giovanni Melis, 72 anni, uno dei due sacerdoti di Nuoro morti a marzo dopo essere stati infettati dal coronavirus. Don Melis è deceduto lunedì scorso a Sassari, dov’era ricoverato per il contagio contratto venti giorni prima, durante una messa in parrocchia che è costata la vita anche a Pietro Muggianu, 84 anni, canonico della cattedrale. Il Covid 19 ha avuto la meglio sul fisico del sacerdote-missionario, anche perché già indebolito dai problemi di salute patiti durante i soggiorni nel Burkina Faso, dove la malaria e la febbre gialla rappresentano due spauracchi, non sempre superabili neppure con le vaccinazioni.
Nello Stato dell’Africa occidentale don Melis aveva realizzato il suo sogno missionario dal 2000, nei giorni in cui accarezzava l’idea di seguire la via del sacerdozio. Quattro anni prima un male incurabile gli aveva portato via la moglie Anna, dopo 27 anni di matrimonio, allietati dai figli Laura e Sandro, e vissuti più che altro a Torino da dirigente d’azienda."La morte di mia moglie è stata come il fallimento del progetto d’amore", raccontava qualche tempo fa don Melis, ormai diventato sacerdote dopo l’ordinazione in cattedrale a Nuoro, nell’ottobre del 2004. Non senza un pensiero per i due figli, diventati adulti e inseriti nel lavoro: "All’inizio sono rimasti un po’ frastornati da questa mia decisione. Perché dopo avere perso la mamma, vedevano allontanarsi in qualche modo anche la presenza del padre. Ma hanno subito dopo capito e condiviso la scelta".
Dalla comunità familiare l'ex manager è passato a quella ecclesiale, nelle parrocchie diocesane di Sarule e Lodè (Nuoro), dopo i primi anni da viceparroco a Nuoro. E qui, nella chiesa San Paolo ha contratto il coronavirus circa un mese fa. L’esperienza tra i diseredati dei sobborghi di Ouagadougou, la capitale dell’ex colonia francese, è stato l’elemento attorno a cui è ruotata la scelta di vita del sacerdote. Vi è tornato ogni anno, per dare una mano ai padri camilliani, che nella città di Koupela hanno aperto anche un ospedale per curare lebbrosi.
Dall’Italia col gruppo missionario del Rosario di Nuoro don Melis portava nei bagagli generi alimentari e medicine. Sono solo alcuni tra i beni mancanti in una comunità che è 171esima (su 174) nella classifica della ricchezza, o povertà, mondiale. Coi volontari dell’associazione onlus, don Melis ha preparato alcuni progetti: il lebbrosario e una casa per gli anziani. È nata la scuola per l’infanzia 'Coro ‘e mama' (Cuore di mamma, in sardo) e alcune giovani sono state formate all’insegnamento. Altri ragazzi hanno avuto la possibilità di aprire laboratori per il burro di karitè, prodotto di pregio nella cosmesi occidentale. Opera sempre in evoluzione, che oggi passa per intero nelle mani dei soci della onlus: come un testamento spirituale del sacerdote nuorese, stabilito prima che l'ultima epidemia lo stroncasse.