Invece di continuare a fare (pochi) tamponi per scoprire chi, presentando sintomi, è positivo al Covid-19, c'è la proposta scientifica di puntare piuttosto su più semplici screening che rilevano gli anticorpi e scoprono chi è immune.
Se il coronavirus è attivo in Lombardia da ormai un paio di mesi, come sembra dalle ultime stime, ci sarà sicuramente una parte della popolazione, probabilmente il 10-15%, che ha sviluppato gli anticorpi e può tranquillamente proseguire le sue attività senza rischio.
Si tratta, secondo l'ex direttore del Policlinico di Milano, il professor Ferruccio Bonini, di adottare una diversa strategia di screening del Covid-19 che punti a trovare coloro che sono già immuni pur non avendo avuto i sintomi della malattia, almeno in Lombardia dove i casi si sono verificati per primi, permettendo a una parte delle attività collettive di riprendere prima che l’economia subisca danni irreparabili.
Assieme alla direttrice dell’UO di Epatologia, centro di riferimento della Regione Toscana per le malattie croniche e il tumore del fegato, Maurizia Brunetto, Bonini ha realizzato uno studio in proposito e lo ha illustrato all'AGI. Emerge che nel caso del nuovo coronavirus, il 60-75% dei pazienti è positivo per 9 giorni dal contagio. Dopo il nono giorno, solo il 40-50% dei pazienti rimane positivo.
“I dati scientifici pubblicati e ripetutamente confermati dai colleghi cinesi che hanno sperimentato e studiato l’infezione per primi, confermano anche per l’infezione da Sars-Cov-2 la validità di test molecolari per valutare la positività degli anticorpi, come accade per i virus HIV e HCV che circolano nel sangue – ha spiegato all’AGI - Il fatto che nonostante la disponibilità di test anticorpali di comprovata sensibilità tali test non siano usati per lo screening di prima battuta è un errore”.
La procedura del test tramite tampone, osserva Bonino, “è gravata dal rischio di errore di campionamento fino al 20%, sicuramente molto più alto della probabilità di trovare un malato ancora negativo per l'anticorpo anti-Sars-Cov-2”.
Secondo lo scienziato, la cui carriera si è soprattutto concentrata su virus che colpiscono il fegato e la ricerca dei relativi vaccini, “il test anticorpale è molto meno costoso e potrebbe essere effettuato anche in laboratori periferici, per la semplicità della procedura e della strumentazione richiesta”. La sua caratteristica, in seconda battuta, è che tale test “dovrebbe essere fatto per sapere se un positivo per anticorpo ha un’infezione attiva o è immunizzato dopo avere avuto una infezione asintomatica.
Secondo Bonino, “tale approccio a doppia via dovrebbe essere utilizzato almeno per lo screening e il monitoraggio del personale sanitario”. In particolare, sostengono i due professori, a Milano e in Lombardia “gli ospedali dovrebbero avviare una sperimentazione interna e testare tutto il personale e per controllo coloro della popolazione generale che vengono a fare prelievi o donatori presso i Centri Trasfusionali: (dopo consenso approvato da CE) ciò verificherebbe il livello di infezione e immunità effettivo nella popolazione Milanese oggi. Dato indispensabile per una strategia di intervento molto più efficace e anche tranquillizzante perché almeno il 10-15% della popolazione dovrebbe essere già immune e protetta e lavorare per far ripartire l’economia”.
Individuare coloro che, tra il personale sanitario, risultino essere positivi per l’anticorpo e negativi per il tampone, rappresenterebbe inoltre un altro vantaggio: si eviterebbe che il personale ancora negativo, per entrambi i test, possa entrare a contatto con i malati.