Viene chiamato “imbuto formativo”, un’immagine che rende alla perfezione la situazione in cui si trovano i medici neolaureati che si affacciano al mondo del lavoro: è lì, tra la fine del percorso universitario e l’inizio del lavoro nelle scuole di specializzazione, che la macchina della sanità italiana si inceppa. Provocando quella che, in queste settimane di emergenza coronavirus, sentiamo chiamare un po’ dappertutto “la carenza dei medici”. Di medici, in realtà, non c’è affatto carenza. Semplicemente non vengono messi nelle condizioni di lavorare. Ecco perché.
I medici ci sono, mancano le borse di specializzazione (cioè i soldi)
“Il problema non è il numero dei medici - spiega all’Agi il presidente dell’Associazione liberi specializzandi (ALS), il dottor Massimo Minerva - Il punto è che mancano gli specializzandi”.
Per comprendere la questione occorre spiegare brevemente come funziona l’accesso alla professione medica: la facoltà universitaria è quella di Medicina e Chirurgia, la cui durata normale è di sei anni. Dopo la laurea, finora, è stato necessario svolgere un periodo di tirocinio pratico formativo (articolato in tre periodi da quattro settimane ciascuno in tre diverse aree, quella medica, quella chirurgica e quella di medicina di base), al termine del quale si accedeva all’esame di abilitazione. Con il dpcm del 17 marzo, n.18, il cosiddetto Cura Italia, la laurea è divenuta abilitante: non occorre cioè più fare il tirocinio e sostenere l’esame.
A questo punto, davanti ai neo-medici si aprono due possibili strade: quella dei corsi di formazione specifica in medicina generale (che durano tre anni e abilitano alla professione di medico di medicina generale, cioè i medici di famiglia), oppure quella delle scuole di specializzazione di area sanitaria (che durano 4 o 5 anni a seconda delle specializzazioni - sono una cinquantina - che formano le figure che operano nelle strutture ospedaliere). In entrambi i casi i medici abilitati lavorano, cioè sono impegnati nelle strutture a cui vengono assegnati, e percepiscono uno stipendio, o meglio una borsa.
Lasciamo da parte la questione della medicina generale e affrontiamo la questione delle borse di specializzazione. L’inghippo, o per meglio dire l’imbuto, sta lì: il numero di borse di specializzazione erogate annualmente non è sufficiente ad assorbire il numero di laureati abilitati, creando un limbo nel quale vivono migliaia di medici (il numero oscilla tra i settemila e i diecimila). Il problema, tuttavia, non riguarda soltanto le condizioni di precariato in cui sono costretti a vivere questi che vengono chiamati “camici grigi”, ma ha conseguenze anche sulla capacità del Sistema sanitario nazionale di erogare i servizi necessari.
La crisi di oggi deriva dalle scelte di almeno cinque o sei anni fa. Qualche dato
“Ogni anno dalla facoltà di Medicina e Chirurgia escono circa 9-10 mila persone laureate”, prosegue Minerva. Le borse erogate a luglio 2019 (definito a.a. 2018/2019) dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur) sono state 8.000. Si tratta di “posti disponibili finanziati da contratti finanziati con risorse statali”. Queste borse di specialità, naturalmente, vengono assegnate attraverso un concorso pubblico, a cui i candidati che partecipano sono circa il doppio dei posti disponibili.
Alle borse finanziate da risorse statali se ne aggiungono alcune altre che vengono finanziate dalle Regioni, dalle Province autonome e da enti privati: sommando le due tipologie, lo scorso anno, si è arrivati a quota 8.776 (qua trovate la distribuzione esatta). Aggiungendo anche le circa duemila destinate alla medicina generale, spiega Minerva, “è stato l’unico anno in cui i posti disponibili erano più di quelli dei neolaureati”.
Dati che rappresentano un’eccezione, se confrontati con gli ultimi dieci anni: in tutti quelli precedenti, infatti, il numero era stato nettamente inferiore. Nel 2018 le borse erano state complessivamente 6.934 (6.200 quelli finanziati con risorse statali); l’anno prima 6.676 (6.105 i contratti statali); nel 2016 furono 6.725 (di cui 6.133 con fondi pubblici); nel 2015 6.383 (di cui 6.000 statali); nel 2014 erano state 5.504 (5.000 quelli con fondi statali); nel 2013 furono 4.500, il punto più basso della storia recente; nel 2012, così come nel 2011, nel 2010, nel 2009, nel 2008 e così via, quelle finanziate con fondi statali erano state 5.000.
Dai dati, insomma, si nota come intorno al 2013 si optò per una riduzione delle borse per gli specializzandi. L’aumento negli anni successivi, in ogni caso, non è stato sufficiente: “Quando si risparmia sulla formazione dei medici gli effetti non sono immediati ma si notano nel giro di almeno quattro o cinque anni, il periodo in cui gli stessi medici vengono formati nelle specializzazioni”, spiega Minerva. Per capire la situazione in cui ci troviamo oggi, dunque, occorre tornare indietro a qualche anno fa. Lo faremo tra poco, ma prima c’è da capire il meccanismo dietro all’erogazione delle borse: “Il loro numero è stabilito dal ministero della Salute, ascoltato il parere della Conferenza Stato-Regioni circa il numero auspicabile di contratti (sulla base delle richieste delle regioni), ma il loro finanziamento avviene sulla base delle coperture economiche garantite dal ministero dell’Economia”, spiega all’Agi Mirko Claus, presidente dell’associazione Federspecializzandi.
Fabbisogni costantemente disattesi
Abbiamo dunque confrontato i fabbisogni e le borse effettivamente finanziate. Nel 2012, come abbiamo già visto, le borse erogate furono 5.000. Nella seduta del 15 marzo 2012, la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano determinò il fabbisogno per il Servizio Sanitario Nazionale per il triennio successivo, stabilendolo in 8.438 unità per l’anno accademico 2011/2012 (cioè le borse per gli specializzandi che iniziavano le scuole nell’autunno 2012). Altre 8.170 unità venivano giudicate necessarie per l’a.a. 2012/2013 (ne vennero finanziate 4.500) e ulteriori 8.190 per l’a.a. 2013/2014 (quelle effettive furono 5.504). Il totale del fabbisogno, insomma, era stimato in 24.798 contratti per gli specializzandi; le borse finanziate dallo Stato furono invece circa quindicimila: quasi diecimila contratti persi per strada soltanto in quel triennio. Non che il triennio successivo sia stato migliore: per il 2015 il fabbisogno veniva stabilito in 8.073 specializzandi (furono invece 6.000); per il 2016 furono 6.133 a fronte di una necessità stimata in 7.909; nel 2017 ne mancarono altrettante (6.200 rispetto al 7.967 richieste dalla Conferenza Stato-Regioni). Per completezza, riportiamo anche quelli di 2018 (la richiesta era di 8.569) e 2019 (8.523, l’unica circostanza in cui le borse effettivamente bandite sono state più di quelle inizialmente richieste).
Come emerge chiaramente dai dati appena riportati, negli ultimi sei anni il fabbisogno espresso dalla Conferenza Stato-Regioni è rimasto pressoché stabile intorno alle ottomila unità, senza cioè che la richiesta sia stato ritoccato verso l’alto per compensare i contratti che sono venuti a mancare anno dopo anno. “La cronica mancanza di specializzandi è testimoniata dai dati - dice Claus - e i fabbisogni espressi dalla Conferenza Stato-Regioni non compensano mai quello che non è stato finanziato gli anni prima. Questa è la genesi dell’imbuto formativo”. L’intero meccanismo, secondo Federspecializzandi, va insomma rivisto: “La stime del personale necessario vanno concertate e condivise, serve un dialogo più stretto tra tutti i soggetti in gioco”.
Tra le ragioni che determinano la carenza di specializzandi, lo sottolineano le stesse Federspecializzandi e ALS, c’è anche il cosiddetto “abbandono delle borse”: si tratta dei casi in cui i medici che già si trovano in specialità decidono di lasciare la scuola e ritentare il concorso per cercare di entrare nella propria prima scelta. Non sempre, infatti, attraverso il concorso si riesce a ottenere un posto nella scuola gradita. Cambiando in corsa specialità, però, la prima borsa finanziata di fatto rimane inutilizzata, persa. Il fenomeno, secondo uno studio del 2018 realizzato da ALS e basato sui dati di 2016 e 2017, riguarda circa 350 borse ogni anno.
Il mistero delle cinquemila borse scomparse nella bozza del dpcm del 9 marzo
I dati relativi al 2019, cioè le 8.776 borse di specializzazione finanziate, è sicuramente promettente, perché ha aumentato di quasi duemila i posti in specializzazione rispetto all’anno precedente. Per il futuro, tuttavia, le associazioni sostengono che occorra alzare l’asticella: per cominciare a riassorbire i camici grigi, ritengono che “a luglio 2020 occorrano almeno 13.500 borse”. Significa cinquemila in più di quelle garantite nell’ultima infornata di specializzandi. “Chiediamo che il governo impegni fondi strutturali - dichiara Claus - Nella prima bozza del dpcm n.14 del 9 marzo 2020, oltretutto, si parlava di una spesa di 130 milioni di euro per attivare quelle cinquemila borse aggiuntive e dare una soluzione ai colleghi abilitati ma precari”, aggiunge il presidente di Federspecializzandi. Dal decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale, tuttavia, quella parte è scomparsa. Per questo motivo diverse associazioni di medici e studenti hanno rivolto un appello alle istituzioni affinché stanzino fondi emergenziali per aumentare il numero di contratti di formazione medica già a partire dal concorso della prossima estate.
Nel frattempo, per il 2020, si registra una improvvisa crescita del fabbisogno espresso dalla Conferenza Stato-Regioni: i contratti richiesti, si legge nell’atto della seduta del 27 giugno 2019, sono 11.255.
Il motivo per cui scarseggiano i contratti di formazione, ovviamente, è la carenza di fondi: “Ogni singolo specializzando ha un costo che oscilla tra i 102-128 mila euro, a seconda che la scuola duri 4 o 5 anni”, spiega Minerva. La formazione all’università, al contrario, non costa nulla, anzi: ogni iscritto alla facoltà di Medicina, come qualunque altro studente universitario, paga le rette.
In un’intervista al Corriere della Sera lo scorso 11 marzo, il ministro della Sanità Gaetano Manfredi annunciava sì l’intenzione di aumentare il numero delle borse di specializzazione, ma soprattutto “l’ampliamento dei posti” nella facoltà di Medicina, portandoli a 13.500 (nel 2019 erano 11.568). Se già oggi ci sono quasi circa ottomila medici bloccati, aumentare ulteriormente gli studenti difficilmente risolverà il problema dell’imbuto formativo.