Una spedizione punitiva per colpire l'avvocato temuto dai boss. Quattro condanne e due assoluzioni: è la sentenza della prima sezione della Corte d'Assise di Palermo, dopo una camera di consiglio durata circa sei ore, tra mille precauzioni legate all'emergenza coronavirus nell'aula bunker dell'Ucciardone, ha condannato quattro dei sei imputati del processo per l'omicidio di Enzo Fragalà: sono Francesco Arcuri, Antonino Abbate, Antonino Siragusa e Salvatore Ingrassia.
Sono ritenuti gli assassini dell'avvocato penalista, ferito a morte a Palermo, sotto lo studio professionale, vicino al Palazzo di Giustizia, il 23 febbraio 2010, e spirato in ospedale tre giorni dopo. Assolti, invece, Francesco Paolo Cocco e Francesco Castronovo. Arcuri ha avuto 24 anni, Abbate 30, Siragusa 14 e Ingrassia 22. L'accusa aveva chiesto l'ergastolo per tutti e sei. I giudici del collegio presieduto da Sergio Gulotta, a latere Monica Sammartino hanno ritenuto che ci fossero troppe contraddizioni riguardo alle posizioni dei due assolti, di cui è stata ordinata la scarcerazione.
Per il resto i giudici hanno applicato la norma che punisce meno severamente il reato "diverso da quello voluto", nel senso che i quattro imputati condannati avrebbero avuto lo scopo di picchiare Fragalà "per dargli una lezione", ma avrebbero finito con l'assassinarlo. Come esecutore materiale è stato condannato solo Abbate, che ha avuto la pena più alta, 30 anni. Con lui quella sera ci sarebbero stati Ingrassia e Siragusa: il primo non ha avuto altre attenuanti, mentre a Siragusa è stata riconosciuta la collaborazione, perché, pur non essendo stato creduto dalla Procura, ha reso una serie di dichiarazioni. Infine Arcuri è stato ritenuto il mandante e condannato a 24 anni.
"E' stato riconosciuto l'impianto accusatorio. Ha retto anche il movente che avevamo individuato: fu un omicidio punitivo, voluto dalla mafia", affermano i pm Francesca Mazzocco e Bruno Brucoli, "naturalmente dovremo leggere le motivazioni per valutare pienamente la decisione".
Il motivo del delitto, secondo i pm sarebbe strettamente collegato alle richieste di Fragalà, nell'ambito delle difese dei propri clienti, di farli parlare con i magistrati. Cosa che portò l'avvocato a essere "ritenuto pericoloso perché la difesa deve cedere alle ragioni del sodalizio mafioso, dell'omertà".
A chiedere l'omicidio sarebbero stati il boss Nino Rotolo (da anni detenuto al 41 bis), capo di Pagliarelli, e Gregorio Di Giovanni, che comanda sul mandamento di Porta Nuova, indagato, ma non sottoposto a misura cautelare (è detenuto per altro).
I carabinieri si sono basati sul contributo di Francesco Chiarello, pentito che ha fatto riaprire un'indagine in un primo momento archiviata, ma che ha reso, pure lui, versioni apparse contraddittorie. A lui si sono aggiunti altri collaboranti e una serie di intercettazioni effettuate da varie forze di polizia.
"Mi aspettavo almeno un ergastolo", dice a caldo Marzia Fragalà, figlia del penalista ucciso. La giovane donna, anche lei avvocato, ha assistito, unica tra i familiari, alla lettura del dispositivo. "Non mi aspettavo le due assoluzioni - prosegue - né queste condanne, nessuna delle quali al carcere a vita. Rispettiamo comunque la decisione. La sentenza non ci soddisfa appieno. Hanno anche tolto l'aggravante della crudeltà nonostante il modo in cui è stato ucciso mio padre".
La sentenza riconosce, infine, il diritto dei familiari al risarcimento dei danni e liquida una provvisionale immediatamente esecutiva per la vedova, i due figli e la sorella della vittima e ordina anche il risarcimento in favore della Camera penale e dell'Ordine degli avvocati, costituiti parte civile assieme al Consiglio nazionale forense, all'associazione Caponnetto e al Comune di Palermo.