I tamponi arrivano a ciclo continuo, ognuno con un nome da associare, con una cartella clinica da tenere, con una provetta da mettere nello spazio corrispondente. Non si può in alcun modo considerare l’errore come possibilità. Errore che può essere fatale in laboratorio “mentre si maneggia il virus, con le proprie mani” muovendosi tra vetrini e microscopi: “Se un infermiere o un medico possono avere un minimo dubbio di venire a contatto col virus, a noi basta una distrazione per averne la certezza”.
A raccontare all’AGI quello che avviene all’interno di uno dei più grandi laboratori di analisi di un ospedale pubblico di Milano, dove ogni giorno convergono i tamponi Covid-19 di molti altri centri, è Francesco, un tecnico di laboratorio. Qui “arrivano da analizzare non solo da Milano e provincia, ma anche dalle zone più colpite come Pavia e Bergamo: cerchiamo di darci una mano a distanza”.
Lavoro oscuro il suo, che non salta agli onori della cronaca, ma che nell’emergenza Coronavirus, è un anello immancabile e fragile della catena del soccorso sanitario. Un anello sotto stress esattamente come gli altri: “Da settimane ormai sono saltati i turni, i riposi e ovviamente non esistono straordinari” racconta, mentre sta per ‘montare’ il notturno: “Comincerò a lavorare alle 9 per finire alle 7.30 del mattino dopo”.
Stanotte Francesco dovrà “mantenere la concentrazione al massimo, perché i tempi di consegna devono essere rapidi. A volte la notte è pesante, ma si riesce a lavorare meglio perché il telefono squilla meno”. Quello di chi opera in laboratorio, nel delirio dell’emergenza, infatti, ribolle per le chiamate degli altri sanitari che attendono i risultati: “I reparti ne hanno bisogno per fare le diagnosi e impostare le terapie”.
Non solo nelle Rianimazioni, messe a punto e duplicate per rispondere all’epidemia, ma anche tutti gli altri: “Mentre arrivano i tamponi Covid cerchiamo di mandare avanti le analisi degli altri ricoverati, magari altrettanto imminenti, perché arrivati in pronto soccorso con infarti o altre urgenze. Si procede in base alla gravità”. E anche qui vale una frase che si sente sempre più spesso negli ultimi giorni in Lombardia: “E’ una corsa contro il tempo”.
Nel laboratorio del grande ospedale (di cui Francesco preferisce non fare il nome) sono stati fatti i salti mortali per ‘rendere le pareti elastiche’ e “ampliare la squadra”: “Ormai siamo 15 addetti, tra tecnici, biologi e medici che vagliano i test. Sono stati comprati nuovi macchinari, ampliati gli spazi, ci sono stati trasferimenti e nuove assunzioni, si è deciso di tenere aperto 24 ore. Ma le macchine hanno i loro tempi, così come i reagenti: la produttività è per forza limitata. Garantiamo un risultato in 4 ore, non possiamo davvero fare di più”, denuncia. Mentre spera “che arrivino presto dei test con esiti più rapidi”.
L’emergenza Coronavirus grava su strutture che lavoravano “a pieno regime anche prima” e che ora, proprio nei laboratori, rischiano di vedersi creare un imbuto per la massa di tamponi da smaltire, con i contagi che hanno sforato quota 13mila solo in Lombardia.
Le case che producono i kit ormai non hanno magazzino e sono al lumicino anche i rifornimenti di cose semplici come “le etichette da mettere sulle provette: erano prodotte in Cina, ma faticano ad arrivare”.
E poi c’è la burocrazia: “Non abbiamo un sistema unificato: ogni ospedale ha le sue schede anagrafiche, spesso ci sono famiglie con lo stesso cognome. Solo questo fa perdere un sacco di tempo e crea stress” descrive ancora Francesco.
In laboratorio così come nei reparti si vive “bardati, con camici, mascherine e visiere”. E una volta vestiti non ci si può spostare fino alla fine del turno, nemmeno per andare in bagno.