La normalità è una striscia di traffico che percorre via Traspontina, in direzione Prati. Il vuoto invece inizia a Ponte Sant'Angelo, scende giù per la Conciliazione e poi risale i tornanti fino all'ingresso ai Musei Vaticani, che ora in pochi scommettono resteranno aperti a lungo.
"Che te frega?" dice la giovane cameriera - trucco pesantino e coda mesciata di cavallo - che si sporge a vedere i tavoli, vuoti anche questi, su piazza della Città Leonina, "Stasera non abbiano nemmeno da puli'". Sembra la battuta dell'impiegato felice che non gli arrivino le pratiche sulla scrivania. Invece è sarcasmo apotropaico, di chi evoca il peggio per tenerlo lontano. Perché se c'è una zona di Roma che al turismo - laico o religioso che sia - deve veramente tutto, questa è la fetta di case che vanno dal Passetto a Borgo Pio, passando per Santo Spirito in Sassia.
Nomi che evocano tragedie passate: Passetto le fughe del Papa dai normanni del Guiscardo; Borgo Pio gli accampamenti dei Lanzichenecchi; Santo Spirito in Sassia le orde sassoni del Duecento. O, se si preferisce, le lunghe file di pellegrini accolti promiscuamente in uno stanzone a morire di chissà quale malattia, una volta arrivati a pregare sulla tomba dell'Apostolo.
Oggi l'emergenza è meno grave, ma la notizia che ufficializza l'arrivo del coronavirus oltre il Tevere e oltre il Colonnato sancisce quello che tutti temevano. Sarà dura, quest'anno. Ed un popolo che si era fatto beffe persino delle promesse di conquista dell'Isis ("Vi bloccheremo nel traffico del Grande Raccordo Anulare", fu risposto ai proclami di al-Baghadi) oggi, sotto sotto, è smarrito. Qualcosa stavolta è riuscito ad arrivare, chissà che accadrà.
Sulla piazza ancora non si montano i grandi schermi che dovrebbero permettere a Papa Francesco una recita dell'Angelus lontana per lui dalle perfide correnti della finestra del suo studio, e per i fedeli dalle occasioni prossime del contagio. Se la regola è "un metro di distanza gli uni dagli altri" vuol dire, a conti fatti, che ogni fedele dovrà avere a disposizione quattro metri quadrati di sampietrini per stare al sicuro. Rischio di impraticabilità molto alto.
La Basilica con la mascherina
Due in tutto le mascherine avvistate sui marciapiedi, e sono di una coppia di cinesi che ancora non ha capito che è inutile indossarle in funzione preventiva. I visi scoperti non sono più un segno di sfida al contagio, ma di consapevolezza dell'inutilità di certe precauzioni.
Comunque pare che anche la Cupola indossi la sua mascherina: da un paio di settimane sono iniziati imponenti lavori di restauro e tutto il tamburo michelangiolesco è coperto di uno strato di teloni verde acqua, come il camice del personale paramedico. La hanno letta quasi tutti, sui siti italiani e non, la frase del direttore della Sala Stampa, Matteo Bruni. "Questa mattina sono stati temporaneamente sospesi tutti i servizi ambulatoriali della Direzione Sanità e Igiene", sono state le sue parole, "per poter sanificare gli ambienti a seguito di una positività al Covid-19 riscontrata ieri in un paziente". Più l'annuncio è destinato a fare scalpore, più è necessario usare un linguaggio distaccato.
Tutta colpa di un tampone
Razionalmente poco è cambiato nelle ultime ore. Tra San Luigi dei Francesi, dove un prete ha tossito pericolosamente tre giorni fa, e il confine di Stato con il Vaticano in fondo c'è solo un chilometro e mezzo. L'impatto psicologico invece è innegabile: lo aveva preparato, involontariamente, la notizia che anche a Bergoglio era stato fatto il tampone, con esito negativo.
Niente di più normale di un tampone preventivo, in casi del genere, ma la comunicazione non parla alla testa della gente, bensì all'umore. Non stupisce quindi che l'atmosfera di oggi ricordi quella di un racconto di Guido Morselli. Perché il traffico c'è ancora, ma taglia dritto per la prima intersezione di via della Conciliazione e fugge via, lontano dai desolati tavolini dei bar di Borgo Pio. "Che te frega?", ripete la ragazza. Ma intanto sa che il passo da un impiego precario a nessun impiego è molto breve.