La chiusura delle scuole è una procedura di sanità pubblica importante per ridurre il rischio di contagio da coronavirus, ma con possibili effetti psicologici diversi a seconda dell’età del minore. I bambini sono i più fragili e indifesi e possono soffrire un’angoscia penetrante perché più permeabili alle paure dell’adulto. Anche le emozioni si contagiano.
“In un primo momento i bambini delle primarie saranno contenti della chiusura delle scuole che, ovviamente, vivranno come una vacanza – spiega Enrico Zanalda, presidente SIP –. Ma tutto ciò avviene in un contesto di allarme e con il passare dei giorni il prolungamento della sosta scolastica forzata con il distacco da compagni e insegnanti, comincerà a pesare, alimentando ansie e preoccupazioni che i genitori si troveranno a gestire in prima persona”.
Come, dunque attenuare e gestire queste conseguenze psicologiche? “Intanto – prosegue Massimo Di Giannantonio, presidente eletto SIP – approfittandone per impersonare un ruolo a cui si era forse rinunciato in questi ultimi anni, cioè quello di compagno di giochi creativi e all’aperto, dando quindi normalità all’emergenza, escogitando con la fantasia nuovi giochi anche educativi, come, ad esempio cucinare insieme, oppure sfidarsi in giochi da tavolo, o misurandosi con i videogiochi per bambini. Rendere ‘ludica’ la preoccupazione aiuta a uscire da una situazione di timore, a mantenere la calma, prospettando che a un periodo di attesa seguirà la normalità”.
Ma non basta. “Spiegare al figlio le vere ragioni della chiusura della scuola con un linguaggio semplice e chiaro, conciso e adatto all’età – aggiunge Zanalda – impedisce al bambino di sostituire le motivazioni reali con fantasie e paure eccessive e lo aiuta a responsabilizzarsi sulle regole da seguire. Il bambino non ha la percezione del tempo come invece hanno gli adulti e l’interruzione della routine può determinare un senso di angoscia che deve essere prevenuto”. Questo porterà benefici anche i genitori, che dovranno informarsi, esaminare le informazioni con cura, le loro fonti e sforzarsi di tradurle e trasformarle per i loro figli.
“Sarà importante anche mostrare un atteggiamento empatico e comprensivo – precisa Di Giannantonio – perché accogliere le ansie e le preoccupazioni dei bambini permette loro di contenerle e di avere la percezione di essere protetti degli adulti di riferimento. Se il bambino manifesta preoccupazioni, è importante non sminuire il suo vissuto con frasi tipo ‘non ci pensare’ o ‘pensa alle cose belle’, perché questo potrebbe far sentire il bambino non compreso e solo, rispetto alla paura che prova. Essere coerenti, infine, e rassicurare i bambini anche con comportamenti non verbali: mostrare un atteggiamento di ansia e preoccupazione finisce comunque con l’essere trasmesso ai bambini, che sanno interpretare perfettamente anche il ‘non detto’ degli adulti”.
Tutto questo può essere realizzato più facilmente per quei genitori che hanno la possibilità di lavorare a casa, ma, ad esempio, per personale sanitario o per genitori single la situazione diviene difficile. Anche i nonni, se presenti, non è detto che siano nelle condizioni di potersi occupare dei più piccoli. E in ogni caso sopra i 65 anni è sconsigliato uscire di casa. Una possibile soluzione potrebbe essere alternarsi con i genitori del solo ‘amichetto del cuore’, perché difficilmente bimbi che giocano tra loro tengono la distanza di sicurezza consigliata.
Per gli adolescenti il discorso è diverso perchè le relazioni sociali, gli incontri e le amicizie rappresentano la dimensione fondamentale della loro vita e vivono il gruppo come punto di riferimento primario. “Per alleviare il disagio del ‘pit stop’ sanitario obbligatorio – aggiunge Zanalda – una soluzione possibile potrebbe essere quella di trovare una mediazione ‘sicura’ tra gli obblighi di legge e le necessità di ragazzi e ragazze di ritrovarsi in gruppi magari più ristretti, per evitare che gli adolescenti deleghino definitivamente alla virtualità di chat e social la gestione delle amicizie e degli affetti, andando in ‘overdose’ digitale”.
Infine, ancora un rischio per gli adolescenti: quello di una invasione reciproca degli spazi. Conclude Di Giannantonio: “Da un lato il genitore, magari costretto dall’home working, teme che il figlio perda tempo tutto il giorno, ed è portato a violarne alcuni spazi di privacy. Dall’altro i ragazzi tendono a vedere il genitore in casa come un adulto invadente. Da qui l’esigenza di impostare un ‘piano giornaliero’ con tempi certi di condivisione e di studio in autonomia laddove non ci sia la possibilità di un contatto telematico con i docenti. In questo contesto facilitare l’incontro con uno-due coetanei può risultare vantaggioso per tutti”.