“Il coronavirus sta diventando un argomento adatto ad attirare il pubblico. Se ne parla ovunque, anche nei programmi di varietà, tra attrazioni di varia umanità e quiz. Ho qualche sommesso dubbio che si faccia un buon servizio all’informazione perché si omologa un tema serio, in grado di mobilitare una forte emotività alle attrazioni della televisione generalista”. Lo dice all’AGI un’autorità assoluta nella divulgazione medico-scientifica come Michele Mirabella, conduttore storico di Elisir, ora trasformatosi nel “Tutta salute” della mattina di Raitre, due lauree honoris causa in Medicina e in Farmacia.
Il pubblico però è preoccupato e quindi avido di notizie…
“È comprensibile che la gente voglia essere informata sul “coronavirus”, ma sarebbe meglio che approdasse ai telegiornali, alle trasmissione scientifiche come la nostra o in altri programmi di informazione sociale. Il nostro “Tutta salute”, prima di dedicarsi con fermezza monografica al virus, ha scelto la prudenza, preferendo aspettare l’evoluzione dei fatti. Dal 24 febbraio ce ne stiamo occupando in tutte le puntate, da un punto di vista medico e scientifico più che assecondando la curiosità indagatoria: divulghiamo le novità scientifiche se ve ne sono, oppure ci dedichiamo a riflessioni sulla salute, dove siamo prudentissimi. Abbiamo eccellenti esperti che condividiamo, spesso, con altre trasmissioni e cerchiamo di dare informazioni rigorosamente scientifiche, quelle che garantiscono una riflessione civile e rigorosa o proviamo a istigare il pubblico ad appropriarsi di conoscenze che lo abilitino serenamente a decisioni serene e utili”.
Siti, giornali e trasmissioni tv, aggiornano meticolosamente e in tempo reale il numero dei contagiati e dei decessi, condivide la scelta?
La conta porta con sé un’implicita istigazione all’ansia, sta andando in scena l’esosità crudele dell’informazione moderna. Oggi attrae attenzione spasmodica l’annuncio del “ne è morto un altro”, in attesa di poter, sospirando, avvertire che “non è morto più nessuno”. Non vedono l’ora di dare la seconda notizia, almeno spero”.
Adesso la lente dell’informazione si sta concentrando sui primi bambini contagiati
“Oggi è stata la volta dei bambini. La sola parola ‘bambino’ trasmette trepida emozione, in troppi, forse s’erano preparati a poter dire che erano stati contagiati anche loro. Servono saggezza e competenza, io consiglio di dire la verità, evitando però i toni enfatici. Ma non tutti hanno studiato la sociologia della comunicazione e l’arte della composizione in lingua italiana e vanno a fiuto, seguendo spinte emozionale. a malapena servendosi di un talento spontane. E spesso rischiano di fare solo un baccano, che non è informazione”.
Attenzione però: evitare il baccano mediatico e la ricerca dell’emozione a tutti i costi non significa glissare sulle notizie, o aggiustarle e sminuirle o enfatizzarle come mortaretti. Io sono per la libertà di informazione che in questo paese per fortuna ancora vige, ma da parte di chi, come me, “fa” informazione si deve rispettare una deontologia alta che ci imponga di cogliere nella società il senso e la dinamica degli accadimenti, l’umanità della vita quotidiana che si fa storia da narrare, l’ansia dell' idea che si fa vita di individui e popoli. E raccontare tutto questo. Non si deve decidere quali notizie dare e quali tacere a seconda della loro efficacia sensazionalistica. Invece, spesso, tutto viene enfatizzato dal pulviscolo vacuo di fonti spesso non credibili, dal chiacchiericcio degli improvvisatori, dalla ricerca dell’enfasi utile solo farsi riconoscere”.
Come se ne esce?
“Tutto ciò apre un problema su cui, a guarigione e a sconfitta del coronavirus” avvenute, varrebbe la pena dare vita a una grande riflessione collettiva. Tema: la vera grande pericolosissima pandemia: quella delle fake news e dell’informazione scorretta, micidiale e pericolosa”.
Facendosi un giro sui social, terreno fertile dell’informazione disinvolta, si evince che gli italiani non hanno ancora un’idea certa sull’effettiva pericolosità del nuovo virus
“L’alta capacità di contagio è dimostrata e il dato sulla mortalità (il 2,5 per cento circa) è doloroso, ma meno drammatico di quanto si potesse temere. Non so però quanto sia rassicurante, anzi. Io considero malinconicamente un dato di amarezza quel vocio fatto di “comunque era anziano, comunque aveva altre patologie” con cui vengono annunciate le morti dei contagiati anziani. Io li piango lo stesso, magari senza corona virus avrebbero vissuto qualche altro anno”.
Ma si aspettava la psicosi collettiva che sta andando in scena tra supermercati e farmacie?
“La prudenza per gli italiani non è mai troppa e al buonsenso stagionato alla saggezza antichissima hanno unito degli atteggiamenti non furtivi ma schietti di isteria collettiva. E dal connubio riescono addirittura a trarre aspetti umoristici. Amari, ma comici. Quindi sta succedendo quello che mi aspettavo, il panico generalizzato che si unisce ad una frenesia di nevrosi satirica”.