Gli operai, la società che gestisce la rete delle ferrovie, quella che ha fabbricato lo scambio sospetto. A due settimane dall’incidente del Frecciarossa in cui sono morti i due macchinisti, ogni giorno che passa le indagini sembrano confondersi sempre di più sulle possibili responsabilità. Quello che sembrava certo all’inizio ha perso via via consistenza fino a offrire uno scenario del tutto nuovo.
L’errore umano
In principio il dito si è rivolto contro i 5 operai che lavoravano sullo scambio lasciato aperto verso un binario ‘morto’, all’altezza del deragliamento nella campagna lombarda. “Un errore umano legato alla manutenzione svolta poco prima dell’incidente”, l’ipotesi immediata del procuratore di Lodi, Domenico Chiaro, che indaga per disastro ferroviario, omicidio e lesioni, tutti reati a titolo colposo.
Uno sbaglio - questo lo scenario a caldo - costato la vita a Domenico Dicuonzo e Giuseppe Cicciù, ingannati dal presunto errato via libera alla centrale operativa da parte dei dipendenti di Rete Ferroviaria Italiana. La prova: un fonogramma nella notte tra il 5 e il 6 febbraio in cui si dava conto del “deviatoio 05 disalimentato in posizione normale”. Nessuno si sarebbe accorto della disattenzione, né avrebbe potuto rimediare proprio perché con la manovra lo scambio sarebbe stato ‘isolato’ dai tecnici impedendo al software della centrale di rilevare che era fuori posto.
Ma che il quadro non fosse così scontato si è capito quando, dopo essere stati iscritti nel registrato degli indagati insieme a Rete Ferroviaria Italiana (RFI), i cinque sono stati convocati negli uffici della polizia ferroviaria a Piacenza per essere interrogati. In questi casi, parlare subito dopo avere ricevuto un avviso di garanzia è un suicidio che nessun avvocato consiglierebbe, invitando a una lettura ponderata per una difesa migliore. Invece gli operai hanno esposto la loro versione fino alle prime ore del mattino, sicuri della loro innocenza: “Lo scambio era dritto, in posizione corretta. Non riusciamo a spiegarci cosa sia potuto succedere”.
Il pezzo difettoso
Gli accertamenti tecnici nell’ambito dell’indagine fanno emergere che un elemento decisivo per regolare il movimento dello scambio sarebbe stato “difettoso”. Per gli inquirenti, il motore che muove gli ‘aghi’ delle rotaie che fanno spostare il treno dal binario di ‘giusto tragitto’ a quello di ‘servizio’ aveva un problema che gli operai non potevano conoscere.
La conseguenza è che Michele Viale, l’amministratore delegato della società che lo ha prodotto, Alstom ferroviaria, viene indagato con la stessa, pesante sequela di reati contestati ai tecnici. Per qualche ora si diffonde il panico: non è chiaro se ci siano altri componenti con lo stesso difetto in circolazione. L’Agenzia nazionale per la sicurezza lancia un allarme europeo e Rfi sospende la posa di nuovi attuatori Alstom.
Accuse reciproche
Venute meno le presunte responsabilità degli operai, la ‘partita’ è tra le due società ed è molto aspra. “L’installazione e la manutenzione degli scambi viene effettuata dal cliente finale. L’attuatore in oggetto fa parte di un lotto che è stato sottoposto a un processo di controllo di fabbricazione e di qualità approvato da Rfi e opportunamente seguito e documentato”, fanno sapere da Alstom, senza tanti giri di parole.
La replica invelenita di Rfi arriva poche ore dopo: “Si precisa che ogni singolo elemento viene rilasciato e sigillato dalla ditta produttrice con apposita dichiarazione di conformità” in cui il costruttore attesta “sotto la propria esclusiva responsabilità che i prodotti sono conformi ai disegni costruttivi e a quanto previsto dai processi di controllo qualità dell’azienda stessa”.
Una cosa è certa: si può viaggiare tranquilli perché il lotto comprendeva, assieme a quello incriminato, 11 attuatori “5 dei quali ancora in magazzini e altri 5 già da tempo operativi e funzionanti”. L’indagine continua con perizie e studi di esperti in attesa di una verità che sembrava facile e non lo è più.