La strada tracciata dalla Consulta era nitida. I giudici della Corte d'Assise di Milano l'hanno seguita, dopo una breve camera di consiglio, assolvendo Marco Cappato 'perché il fatto non sussiste' dall'accusa di 'aiuto al suicidio' per avere accompagnato nel 2017 Fabiano Antoniani, cieco e tetraplegico dopo un incidente, a morire in una clinica svizzera a Zurigo. "Una data storica - esulta il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano - perché la decisione della Corte realizza pienamente il significato dell'articolo 2 della Costituzione che mette l'uomo al centro della vita sociale e non lo Stato".
Per il leader dell'associazione 'Luca Coscioni' è pero' anche un giorno di profondo dolore: proprio durante l'intervento dei suoi avvocati, è arrivata la notizia della morte della madre, ricoverata da giorni in ospedale a Milano. Breve sospensione dell'udienza, con un lungo abbraccio tra Cappato, in lacrime, e la moglie, e poi si riprende col leader radicale che trova la forza di chiedere un'assoluzione in nome del "diritto alla autodeterminazione individuale, naturalmente all'interno di determinate condizioni".
A febbraio il processo per Davide Trentini
"Non è la tecnica del tenere in vita, la tecnica del far morire a essere rilevante - spiega - ma la condizione di vita, di dignità, di libertà che ciascuno vuole garantire per se stesso a essere rilevante". Parole che rimandano alla sua prossima sfida perché il 5 febbraio davanti alla Corte d'Assise di Massa si discuterà il processo in cui Cappato e Mina Welby sono imputati per avere aiutato Davide Trentini, che non era 'attaccato' alle macchine come Fabiano Antoniani.
I giudici custodi della Costituzione hanno stabilito che non è punibile "chi agevola l'esecuzione" del proposito di suicidio "autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli ritiene intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli".
Condizioni molto precise, quelle dettate dalla Consulta, tra cui anche quella che il malato dipenda dai supporti medici. Per Antoniani ha ricordato Siciliano, che assieme alla collega Sara Arduini aveva chiesto l'intervento della Consulta , "la possibilità di sopravvivere era legata all'aspirazione meccanica dei fluidi che lo avrebbero soffocato se non asportati".
"Una patologia senza ritorno"
Anche tutti gli altri punti indicati dalla Consulta erano presenti nella storia del 40enne, noto come Dj Fabo per la passione per la musica che l'aveva portato a vivere e lavorare in India: "La sua era una patologia senza ritorno, allo stato delle attuali conoscenze mediche e pativa "una così grave sofferenza fisica e psicologica che spesso gli antidolorifici erano usati su di lui in maniera efficace".
Ma soprattutto, ha ricordato la pm, "Antoniani ha deciso in modo libero e consapevole, l'abbiamo sentito nel video delle 'Iene' esprimersi con chiarezza su questo punto, tanto da avere fatto lo sciopero della parola per protestare contro la madre e la fidanzata quando si opponevano alla sua volontà di morire, per cui ha lottato da combattente perché non riteneva la sua una vita dignitosa".
Valeria Imbrogno, la sua fidanzata, ha voluto interpretare dopo la sentenza, applaudita dai presenti in aula, lo spirito gioioso riconosciuto da tutti i testimoni a Fabiano: "Oggi mi avrebbe chiesto di festeggiare, siamo arrivati alla vittoria per lui: ha sempre combattuto, ora sono felice".