Carlo Rubini è insegnante di Geografia in congedo, pubblicista e saggista con diversi libri sul territorio Veneto. L’ultimo su La Grande Venezia nel secolo breve, la sua città. Ed è esponente attivissimo del Comitato per il No alla divisione di Venezia da Mestre. Perché tenere unite le due entità, vista la loro oggettiva diversità? Non reclamano ciascuna una cura specifica?
“In ogni grande città ci sono parti diverse – risponde Rubini -, il Foro Romano e il centro di Roma non sono la stessa cosa di Tor Pignattara, né l’Eur di Tor Bella Monaca o Roma Sud di Roma Nord. Il porto di Venezia è quasi tutto in terraferma e Porto Marghera è centro veneziano fino al midollo, finanziato e voluto dalla classe dirigente lagunare, parte della sua storia. La narrazione dei separatismi vuole che non sia così ed è falsa, anche se la percezione è questa. Poi ci sono 50 mila persone che sbarcano ogni giorno a piazzale Roma, al netto del turismo. Un esercito, e 20 mila in senso contrario. Sono le relazioni che ci sono in una normale città tra centro storico e periferia”.
Cosa perderebbero Venezia o Mestre, laguna e terraferma, nella separazione?
“Il Comune non è solo un fatto tecnico-amministrativo, ha un suo significato simbolico non indifferente. Politico. Io abito a Dorsoduro, ma la mia città è anche dall’altra parte perché la frequento e in qualche modo mi viene negata una cittadinanza, un’appartenenza ad una comunità nella quale poter mettere becco eleggendo un sindaco. Per i separatisti la visione è in chiave di differenza quasi etnicista. C’è gente che vuole scritto sulla carta d’identità ‘cittadino di Mestre’…, e nella città storica ci sono persone che non hanno mai digerito il fatto che - come nel quadro del Carpaccio, dove il Leone di San Marco ha una zampa in acqua e una sulla terra - il territorio di gronda, dove ci sono le remiere, sia parte del loro territorio”.
Venezia e Mestre sono già unite, cosa non ha funzionato negli anni?
“I mali storici delle due sponde non si possono negare, specie per Venezia, mentre Mestre è cambiata molto in positivo negli anni, al di là della narrazione catastrofista che ne fanno i separatisti. Per Venezia tutti i problemi derivano dall’insufficienza della classe politica. La prima giunta Cacciari fu abbastanza propulsiva però lui stesso ha creato il deserto, non ha fatto crescere nessuno, se non uomini-ombra. Insufficienza cronica, dinanzi a problemi certo complessi e complicati. Ma non c’è interconnessione tra problemi e unità. Perché allora a Roma, a fronte di problemi enormi, giganteschi, nessuno si è mai sognato di chiedere il Comune di Roma Nord e quello di Roma Sud…? Ed è pur vero che i problemi non sono uguali… Qui parliamo di un’area che è dieci volte più piccola, 260 mila abitanti…”.
In caso di una vittoria del No, come va rilanciata l’unità del territorio? La prima cosa da fare
“Intanto ora ci sono priorità tali che l’unità può anche aspettare. Quel che manca è una integrazione anche percettiva, di continuità urbana. I trasporti aiuterebbero molto. La città storica ha problemi d’accessi giganteschi, al di là del turismo. Vogliamo accorciare i tempi di percorrenza dal Lido di Venezia alla terraferma? Sono biblici. Non volete la sub-lagunare? Dateci qualcosa che permetta tempi più brevi. È difficile percepire una città unica in questo modo. Mobilità e water front, dare significato ai due interfaccia: Tronchetto e Porto Marghera. Grandi Navi a Marghera. E diversificazione dell’occupazione nella città storica. Anche l’occupazione va concepita su scala metropolitana. Non si può avere il lavoro sotto casa, i separatisti sono autarchici… Hanno in mente una città compiuta e autosufficiente. Forse non vanno mai oltre il ponte…”.