Venezia si è sempre adattata, nei secoli, ai fenomeni naturali a cui era esposta, a partire dall’innalzamento del livello della laguna sulla quale fu costruita oltre mille anni fa, ma ora, con l’accelerazione dei fenomeni, la sua capacità di adattamento è messa a dura a prova, e nemmeno un progetto concepito meno di vent’anni fa come il Mose riuscirà a far fronte ai cambiamenti climatici in atto.
È la considerazione del professore veneziano Carlo Giupponi, docente di Economia dell’Ambiente a Ca’ Foscari e rettore della Venice International University di San Servolo, oltre che esperto di Scienza e gestione dei cambiamenti climatici.
Già 350 anni fa l’ingegnere idraulico Benedetto Castelli fu chiamato dai Dogi a studiare i fenomeni delle maree per proteggere Venezia dall’acqua alta, e dichiarò di arrendersi alla natura: “Metta pure la Serenità Vostra parte in questo Eccelso Collegio – scrisse nel suo Della misura delle acque correnti - e lo faccia confermare in Pregadi à tutti i voti, che i Venti non spirino, che il Mare non ondeggi, che i Fiumi non corrano; i Venti saranno sempre sordi, il Mare sarà costante nell’incostanza sua, li Fiumi ostinatissimi, e questi saranno i miei giudici, & alla lor decisione mi rimetto”.
Quella del 12 novembre, con i suoi 187 centimetri, seconda solo all’acqua granda del 1966, è stata un’acqua alta eccezionale?
“Gli eventi estremi sono sempre più frequenti. La situazione di questi giorni a Venezia è simile a quella che l’anno scorso ha provocato la tempesta Vaia (che a fine ottobre ha flagellato l’Italia, con gravi danni in Veneto, ndr): forti precipitazioni associate a forte vento di scirocco. Se in mille anni un fenomeno come questo ricorre un paio di volte, il fatto che queste siano avvenute in due anni consecutivi è significativo”.
Durante la conversazione nella sua casa di Venezia, Carlo Giupponi mostra la foto del portone di un palazzo medioevale i cui gradini scompaiono nell’acqua del canale, evidenziando il segno attuale che la laguna lascia sul muro, più alto di almeno una decina di centimetri rispetto a quando fu costruito.
Che significa, professore?
“Che al di là dei dati oggettivi che misuriamo oggi, possiamo farci un’idea dell’innalzamento e della capacità veneziana di adattamento anche confrontando le immagini attuali con quelle dei quadri antichi. Negli ultimi decenni, però, l’acqua sale in media di 5,6 millilmetri all’anno. Al fenomeno globale dell’aumento del livello del mare, a Venezia si aggiungono quei fenomeni naturali che riguardano solo la sua laguna e altri dovuti all’azione dell’uomo come gli scavi di canali e lo sfruttamento della falda di acqua. La città si è sempre adattata a questi cambiamenti, ma la sua capacità di adattamento ha un limite: ora potrebbe non riuscire a seguire l’accelerazione dei fenomeni”.
Che differenza c’è fra l’acqua alta di questi giorni e quella di 53 anni fa?
“Quella del 1966 era dovuta alla sovrapposizione di due maree combinate al vento di scirocco: una combinazione rarissima, per l’epoca. Ora invece queste coincidenze di diversi fattori si verificano sempre più spesso mettendo a dura prova la capacità di Venezia di affrontare l’emergenza”.
Pensa che con il completamento del Mose la situazione sarà sotto controllo?
“È un progetto caratterizzato da rigidità; concepito in un’altra fase, ora difficilmente si adatta al cambiamento in corso. E in particolare non tiene conto a sufficienza del fattore vento, quello che nelle ultime occasioni ha aumentato l’effetto dei fenomeni. Oltretutto i lavori effettuati per la realizzazione del Mose hanno a loro volta provocato un mutamento, sulle maree che interessano il Lido di Venezia: ora sono più rapide, salgono in maniera veloce, e le correnti sono più forti. Tutto questo rende molto più difficile fare quelle previsioni che servono alla città per prepararsi e correre ai ripari”
Perché molti veneziani non sono fiduciosi nell’efficacia del progetto Mose?
“I veneziani ce l’hanno con il Mose perché ha drenato la maggior parte dei fondi che servono normalmente a tenere puliti i canali e a fare tutto quello che serve perché la città sia pronta ad affrontare l’acqua alta. Da una ventina d’anni, non si fa più la manutenzione ordinaria che veniva finanziata dalle risorse della legge speciale varata proprio dopo il novembre 1966”.
Come esperto di cambiamenti climatici, crede che si possa ancora essere ottimisti sul futuro?
“Tutti i grafici sui fenomeni economici, sociali e anche naturali, mostrano un’accelerazione negli ultimi decenni. Quello che valeva nel passato, in termini di previsioni, ora non vale più. In un contesto come questo, a voler essere pessimisti si hanno tutte le ragioni, ma se invece si vuole essere ottimisti bisogna puntare sulla definizione della nostra era geologica, Antropocene. Significa che l’uomo è uno dei principali fattori dell’evoluzione geologica e che le nostra capacità di controllare i problemi sono maggiori rispetto al passato. Da un lato abbiamo creato noi i problemi, dall’altro non siamo più in loro balia. Ci vuole quindi una maggiore consapevolezza e un’assunzione di responsabilità. Ognuno può fare la sua parte. Da un lato, la scienza lancia gli allarmi, che normalmente la politica non ascolta perché gli orizzonti temporale degli scienziati sono troppo a lungo termine per interessare i politici che puntano alle prossime elezioni. Dall’altro, per questo stesso motivo i cittadini possono influire molto sulle scelte dei politici, visto che li votano: c’è un legame diretto. Per questo è importante il ruolo di movimenti come i Fridays for Future e della tanto criticata Greta Thunberg”.