Per l'Italia e per tutta l’Europa, l'ultimo anno è stato difficile per l’immigrazione. Sbarchi – e diritti – in calo drastico per la politica dei porti chiusi. Ciononostante gli stranieri residenti nel Bel Paese ci hanno ancora una volta aiutato 'a casa nostra'. Non solo, ci hanno pensato da soli ad aiutare chi è rimasto 'a casa loro'. I dati aggiornati del contributo economico, sociale, culturale ed umano dei migranti residenti in Italia sono contenuti nel Dossier Statistico Immigrazione 2019 di Idos e Confronti.
Nessuna invasione, popolazione straniera stabile dal 2016
Come effetto dei controversi accordi con la Libia e della politica dei porti chiusi, in Italia tra il 2017 e il 2018 è crollato del 80% il numero di migranti sbarcati, passato da circa 119 mila due anni fa a 23.370 lo scorso anno. Un trend a ribasso proseguito anche nei primi mesi del 2019, con 7710 sbarchi registrati. Il dato italiano è 5 volte inferiore ai 39 mila migranti che nel frattempo sono giunti in Grecia e di circa 2,5 volte ai 19 mila approdati in Spagna.
Nonostante numeri sempre più bassi, sottolineano gli autori del Dossier Statistico, “l’attenzione mediatica e la comunicazione politica hanno continuato a insistere sugli arrivi via mare dei richiedenti asilo, riproponendo – come da 40 anni a questa parte – la retorica dell’invasione”.
Un altro dato sfata il mito dell’invasione: lo scorso anno la popolazione straniera in Italia è cresciuta del 2,2% - con 5,2 milioni di residenti, pari all’8,7% della popolazione - e da almeno 6 anni non è in espansione. Dal 2016 è praticamente statico il numero dei soli soggiornanti non comunitari, pari a 3.717.000 persone. Un dato che risulta dal drastico calo degli arrivi via mare, conseguenza anche della chiusura dei canali regolari di ingresso.
Per numero di stranieri residenti, l’Italia si colloca al terzo posto dietro Germania (9,7 milioni) e Regno Unito (6,3 milioni), davanti a Francia e Spagna (rispettivamente con 4,7 e 4,6 milioni). Invece l’incidenza dei residenti stranieri sulla popolazione complessiva in Italia è inferiore a quella registrata in altri paesi Ue, anche quelli più piccoli. In Lussemburgo sono il 47,8%, in Austria il 15,7, il 12% in Belgio, in Germania l’11,7% e in Spagna il 9,8%.
Metà degli stranieri residenti in Italia è di cittadinanza europea (50,2%), poco più di un quinto è di origine africana (21,7%), gli asiatici coprono un altro quinto delle presenze (20,8%), mentre è americano (soprattutto latino-americano) 1 residente straniero ogni 14.
Il contributo demografico degli stranieri, seppur in calo
In un contesto di inesorabile declino demografico dell’Italia, le nascite da coppie straniere residenti rappresentano un contributo importante per arginare l’invecchiamento del Paese. L’anno 2018 si è registrato il tasso di natalità più basso dell’ultimo decennio, con 439.700 nuovi nati, di cui 65 mila bambini di origine straniera, pari al 14,9%. Per la prima volta, questo un segnale negativo secondo gli analisti, è diminuito anche il tasso di natalità tra le famiglie straniere stabilite nel Paese. “Un segnale di sfiducia per il presente ma ancora di più verso il futuro” sottolineano gli studiosi di Idos, in un contesto segnato da crescenti episodi di razzismo, pregiudizi e discriminazioni.
Più di 1,1 milione di stranieri - un quinto del totale di tutti i residenti - è nato in Italia, quindi lo sono solo giuridicamente. Di questi ‘stranieri’ nati in Italia, il 50% (più di 530 mila) siede sui banchi delle scuole italiane, pari a un decimo di tutta la popolazione scolastica nazionale.
Il contributo all’economia nazionale
Nel 2018, i lavoratori immigrati hanno contribuito al 9% del Pil nazionale, un valore aggiunto per lo Stato di 139 miliardi di euro annui, e sono anche sensibilmente aumentate le rimesse inviate nei paesi di origine. Lo rivela la Fondazione Leone Moressa, i cui dati sono inseriti nel Dossier Statistico Immigrazione 2019. Tra il 2017 e il 2018, l’entità delle rimesse è cresciuta da circa 5 miliardi di euro a 6,2, un importo maggiormente superiore agli aiuti internazionali allo sviluppo del governo italiano.
Nel 2018, in base ai calcoli della Fondazione Moressa, il saldo nazionale tra entrate versate dai lavoratori stranieri (tasse, contributi previdenziali, bolli per pratiche burocratiche) e uscite da parte dello Stato (servizi a loro destinati, tra cui sanità e istruzione, sussidi) è risultato positivo per l’Italia, di 200 mila euro nell’ipotesi minima e fino a 3 miliardi in quella massima.
“Così, all’inconcludente retorica dell’aiutiamoli a casa loro, si può rispondere, a ragion veduta, che in realtà ad aiutarsi a casa loro ci pensano già, e molto più, loro stessi. A ciò si aggiunge che ci aiutano anche a casa nostra” evidenzia il rapporto.
Alto livello di formazione e sempre più imprenditori stranieri
Il 60,1% dei non comunitari regolarmente soggiornanti in Italia ha un permesso di durata illimitata, quindi uno status legale stabile, prevalentemente per motivi di famiglia (46,9%) e di lavoro (29,7%). Dati che confermano la loro presenza stabile nel Paese.
Rispetto agli italiani, per gli stranieri è più elevato sia il tasso di occupazione (61,2% contro 58,2%) sia quello di disoccupazione (14,0% contro 10,2%). Dei 2,45 milioni di occupati stranieri – il 10,6% di tutti i lavoratori in Italia, secondo i dati Istat – due su tre svolgono professioni non qualificate o operaie e solo 7 su 100 occupano ruoli qualificati. Il 34,4% dei lavoratori immigrati risulta sovraistruito per il posto occupato, a fronte del 23,5% degli italiani.
Sono stranieri quasi la metà dei venditori ambulanti, più di un terzo di facchini, braccianti agricoli, manovali e personale non qualificato della ristorazione, in risposta ad un importante fabbisogno che altrimenti non sarebbe coperto. Il lavoro autonomo continua a distinguersi per crescita e dinamismo: nel 2018 le imprese condotte da stranieri sono aumentate ulteriormente, ancora in controtendenza con l’andamento complessivo, e hanno superato la 602 mila unità (+2,5% annuo, che tocca il picco di +11,4% tra le sole società di capitale), arrivando a rappresentare il 10% di tutte quelle attive in Italia.
Sono le donne straniere a prendersi cura dei nostri anziani
Nei servizi domestici e di cura della persona, il 68,9% dei lavoratori sono stranieri, in stragrande maggioranza donne, impiegate per lo più in nero; il settore assorbe il 42% di tutte le occupate straniere in Italia. I lavoratori stranieri percepiscono una retribuzione media mensile più bassa del 24% rispetto a quella degli italiani (poco meno di mille euro contro 1400). Retribuzione che si abbassa ancora di più – del 25% – per le sole donne straniere, doppiamente stigmatizzate.
‘Sos’ emigrazione, a lasciare il Paese sia italiani che stranieri
Al calo delle nascite di italiani e di cittadini stranieri residenti si aggiunge un’impennata dell’emigrazione che nel 2018 ha visto 300 mila italiani – in maggioranza giovani – lasciare il Paese. A partire in cerca di altre opportunità sono anche i cittadini stranieri, sicuramente più numerosi delle loro 40 mila cancellazioni per l’estero registrate dalle anagrafi.
“Un ritmo di abbandono del Paese che, congiunto al blocco degli ingressi per gli stranieri e alla sempre più grave e persistente denatalità, sta inesorabilmente condannando l’Italia a diventare un paese sempre più anziano, meno produttivo, più povero e meno competitivo a livello internazionale” sottolinea il Dossier Statistico Immigrazione 2019.
“La massiccia emigrazione italiana all’estero sta assumendo proporzioni preoccupanti, spopolando soprattutto le regioni meridionali. A dispetto della retorica nazionalista, infatti, i giovani italiani condividono le stesse difficoltà dei loro coetanei stranieri a trovare, in Italia, condizioni accettabili di inserimento e di stabilità, a cominciare dal lavoro: precario, sottopagato, sotto-qualificato e con scarse prospettive di miglioramento” evidenzia lo studio.
Ius sanguinis anacronistico, spinta a partire
Nel 2018 sono stati 112.500 gli stranieri che hanno acquisito la cittadinanza italiana, un dato in netto calo rispetto ai due anni precedenti. Per i ricercatori dell’Idos la diminuzione del numero di ‘nuovi italiani’ è imputabile da una parte ad “una legge anacronistica, imperniata sullo ius sanguinis, che in 27 anni nessun governo è riuscito ancora a riformare” e dall’altra a un “inasprimento dei requisiti, anche economici, necessari non solo per ottenerla ma soprattutto per conservarla, a causa delle aumentate possibilità di revoca introdotte dal primo decreto sicurezza del 2018”.
La mancata risoluzione della questione della cittadinanza per chi nasce in Italia, in un paese in cui iniziano ad affacciarsi addirittura le terze generazioni di immigrati – avverte l’Idos – "costituisce uno di quei fattori che stanno contribuendo ad avviare processi di disaffezione e, soprattutto tra i più giovani e qualificati, anche di abbandono del Paese".