A cinquant'anni dall'inaugurazione va in archivio il palazzo di giustizia di Marsala, quello in cui sono stati processati i familiari del latitante Matteo Messina Denaro e in cui lavorò il magistrato Paolo Borsellino, fino a poche settimane prima della strage di via d'Amelio. La struttura, già in funzione come istituto scolastico, fu adibita a Tribunale nel 1969. Già da alcuni mesi era in corso il trasloco nella nuovo palazzo di giustizia e adesso - dopo 11 anni di lavori - inaugurata alla presenza del ministro della giustizia Alfonso Bonafede e del vicepresidente del Csm David Ermini.
Il nuovo Tribunale si trova tra corso Gramsci e via del Fante, in un area in cui sorgeva uno stabilimento vitivinicolo, e sul cornicione d'ingresso compaiono le foto dei magistrati uccisi dalla mafia Paolo Borsellino e Cesare Terranova "che furono eccezionali rappresentanti di questa procura", sottolinea il presidente del Tribunale Alessandra Camassa, che da giovane sostituto procuratore iniziò la sua carriera negli anni in cui Borsellino era alla guida della Procura di Marsala.
Aveva chiesto di essere trasferito lì nel maggio 1985, poco dopo aver chiuso le indagini che diedero vita al Maxiprocesso alla mafia, insediandosi nel 1986. "Sono a Marsala da tre mesi, praticamente da due perchè ho usufruito di un mese di ferie", esordì durante l'audizione dinanzi la commissione Antimafia dell'11 dicembre 1986, recentemente desecretata. In quell'occasione Borsellino ricostruì le difficoltà che si vivevano nella cittadina trapanese, lasciando trapelare la necessità di aggredire la criminalità organizzata, preservando la memoria dell'ufficio giudiziario.
Da allora però qualcosa non sembra cambiata: "i magistrati non fanno domanda per venire in alcuni uffici del sud". A dirlo è stato il vicepresidente del Csm, David Ermini che ha precisato come "qui a Marsala c'è un 38% di scopertura in procura che probabilmente si aggraverà a dicembre, e il 19% nel tribunale. Abbiamo bandito tre posti per la procura e tre posti per il tribunale, ma non ci sono domande".
"Quando Borsellino arrivò a Marsala trovò un solo sostituto in organico, strutture fatiscenti, pochissimi operatori di polizia giudiziaria a disposizione", ha aggiunto Roberto Tartaglia, consulente della commissione parlamentare Antimafia per cui sta curando anche la desecretazione di alcuni documenti finora riservati, comprese le audizioni di Borsellino. "In quelle audizioni indicava Marsala come il santuario della mafia e per questo essere qui oggi a inaugurare questa struttura efficiente e autorevole è un messaggio alla sua memoria".
Da procuratore nel 1991 alimentò la collaborazione con la giustizia di Piera Aiello (oggi componente dell'Antimafia e presente all'inaugurazione) e Rita Atria (che dopo l'uccisione del magistrato si suicidò ndr) e si trovò invischiato in una stagione dei veleni con la Procura di Trapani, per la gestione dei verbali rilasciati altri collaboratori di giustizia. Nel marzo 1992 fu trasferito da aggiunto a Palermo ma il 4 luglio di quell'anno tornò nel vecchio palazzo di giustizia di Marsala per un saluto di commiato a poche settimane dalla strage di Capaci in cui morì Giovanni Falcone.
Il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina vennero uccisi il 19 luglio 1992 nella strage di via d'Amelio ma Cosa Nostra lo voleva morto a Marsala e per questo in più occasioni aveva ipotizzato di ammazzarlo lì. A parlare per primo del piano di morte fu Antonio Patti, soldato della famiglia mafiosa di Marsala, che raccontò di attentato che sarebbe dovuto avvenire "tra la fine del novantuno e i primi del 1992" ma "i due che erano stati delegati si rifiutarono".
Negli ultimi anni nel tribunale di Marsala si sono celebrati importanti processi per traffico di droga, immigrazione clandestina e quello per la scomparsa di Denise Pipitone. Ma soprattutto i numerosi procedimenti sui mandamenti mafiosi di Mazara del Vallo e Castelvetrano a partire dalla famiglia Messina Denaro. Qui venne condannato il patriarca "don Ciccio", padre dell'attuale latitante Matteo, che a differenza di favoreggiatori e familiari (tra cui il fratello Salvatore, la sorella Patrizia e il nipote del cuore Francesco Guttadauro) è stato condannato soltanto in contumacia.