In Italia si contano 11.017 asili nido. Pochi. Di questi, fa sapere l’Istat, i nidi aziendali sono appena 220, di cui 208 al Nord. Pochissimi. L’obiettivo prefissato dalla Ue nel 2002 era di offrire il servizio per la primissima infanzia al 33% dei bambini entro il 2010: nel 2015 la percentuale era del 25%. Esistono esempi di aziende virtuose che fanno dell’asilo nido un motivo di orgoglio e uno dei ‘benefit’ più appetibili. Nell’elenco spiccano, ad esempio, Nestlè e Ferrero, ma anche Artsana Group, di cui fa parte anche la Chicco, l’Università Bicocca di Milano, la Pirelli, la Ferrari e molte banche come la Deutsche Bank, Unicredit, BNL, Intesa San Paolo e Mediolanum. E infine compagnie telefoniche come Telecom, Vodafone e Wind. Ma in generale, l’offerta di asili nido pubblica è insufficiente, quelli privati sono molto costosi e quelli aziendali restano un’utopia, sono rari e complicati da aprire. Nonostante la legge 448/2001 che avrebbe dovuto incentivare i nidi all’interno di aziende.
“Costi alti” e “turn over non assicurato” tra le principali cause
Il motivo principale di una scarsa offerta di nidi aziendali “è legato alle dimensioni aziendali”, spiega all’Agi Federico Bozzanca, che si occupa di funzione pubblica alla Cgil. “E’ molto frequente nelle grandi aziende ma l’Italia è Paese di piccole e medie imprese. L'asilo ha dei costi importanti e l’investimento non è in grado di ripagare la spesa”.
Negli ultimi anni in ambito aziendale, continua Bozzanca, “si è molto insistito sull'assistenza sanitaria, anche integrata. Ma gli asili aziendali non godono di incentivi. Ricordo a memoria amministrazioni comunali che hanno offerto contributi ad aziende che aprivano l’asilo anche a bimbi non figli di impiegati ma sono casi rari”. Esistono poi delle formule alternative: “Ci sono pacchetti di welfare integrativi che prevedono bonus sull’accesso dei bimbi a nidi convenzionati o strutture pubbliche, che a seconda della città, possono avere anche rette da 500-600 euro a seconda dell’Isee”.
Della stessa opinione è anche la responsabile per lo sviluppo asili nido in Baby World, Francesca Castiglieri, che evidenzia un’altra problematica: “La vita dell’asilo è nelle mani dell’azienda. Ogni ditta appalta a una società esterna o a una cooperativa la gestione del nido. Spesso questi non durano perché cambiano i gestori e soprattutto perché il turn over di bimbi non è garantito. Magari ci sono periodi in cui nell’azienda nascono molti bambini e altri in cui ne nascono pochissimi. La vita del nido aziendale dipende anche da quello”.
Ma cos’è un nido e cosa bisogna fare per aprirne uno?
Un nido aziendale è un asilo aperto all’interno di una struttura aziendale che accoglie bambini di età compresa tra i 3 e i 36 mesi. “Un’azienda attenta alle esigenze dei propri dipendenti, oltre a quelle dei propri clienti, può valutare l’apertura di un nido aziendale: molti dipendenti, infatti, sono anche mamme o papà che quotidianamente sono chiamati a conciliare lavoro e famiglia, compito non sempre dei più facili”, si legge sul sito Nostro figlio.
“Certo è che lavoreranno più tranquilli se sapranno che, per qualsiasi problema legato al bambino, la soluzione sarà a ‘portata di mano’, vista la vicinanza del nido. Lavorando sereni, daranno risultati migliori, sicuramente apprezzati dai clienti e, quindi, dal datore di Lavoro. È in questa ottica che nasce l’idea dell'asilo nido aziendale: un luogo pensato e organizzato per i bambini, in grado di garantire la migliore assistenza possibile e lasciare tranquilli e senza ansie i genitori che lavorano”.
Le aziende che vogliono aprirlo hanno diverse opzioni, a seconda del numero dei bambini interessati, spiegano da BabyWorld. “Si può optare per una convenzione con dei nidi in zona, altrimenti valutare l’apertura di uno proprio”. O ancora, si può valutare la possibilità di “gestire l’asilo consentendo l'accesso anche ai figli di dipendenti di aziende attigue, dando così vita a un asilo interaziendale”
Per la realizzazione di un asilo nido aziendale è necessario che “l'azienda abbia uno spazio idoneo all'interno della propria struttura o nelle immediate vicinanze”. La struttura deve assicurare un programma educativo, il momento ludico, il cibo e il riposo del pomeriggio. Per questo, deve essere provvisto, oltre che dello spazio destinato ai bambini, anche di un locale adibito a cucina e di uno adatto al riposo. Andranno soddisfatti tutti i requisiti strutturali, che possono variare in base al Comune di appartenenza, e ovviamente quelli igienico-sanitari. Sarà infine la provincia ad autorizzare l'apertura del nido una volta accertata la presenza di tutti i requisiti minimi funzionali previsti. A fine lavori, occorre chiedere un Parere Igienico Sanitario Preventivo alla ASL di competenza e presentare la richiesta di agibilità dei locali.
Ma chi può lavorarci? È necessario che le figure professionali abbiano specifiche competenze e che siano in possesso di idonea qualifica o titolo di studio: laurea in Pedagogia, Scienze della Formazione Primaria o in Scienze dell'Educazione, abilitazione magistrale conseguita presso licei o istituti riconosciuti o maturità professionale come assistente di comunità infantili. Inoltre, è indispensabile la presenza di personale ausiliario e di personale di cucina, e altre eventuali figure professionali.