Era un caldissimo, incandescente, 22 agosto 2018. La figura asciutta e fasciata da un abito scuro di Luigi Patronaggio, con mascherina, guanti e calzari "usa e getta", si allungava agile e decisa sulla scaletta del pattugliatore della Guardia costiera, scuotendo lo stallo politico-giudiziario sul caso della Diciotti, ancorata da giorni al porto di Catania.
Al termine dell'ispezione, parole nette: "La politica e l'alta amministrazione sono libere di prendere le scelte che ritengono opportune. Alla magistratura resta la valutazione giuridica di quanto avviene, su sfere e ambiti diversi. Ovviamente qualsiasi limitazione della libertà personale deve fare i conti con norme e regole della Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani, della Costituzione, del Codice penale e del Codice di procedura penale. Non si scappa".
L'iniziale ipotesi di trattenimento illecito di persone a bordo "è in piedi", scandì il magistrato che tre giorni dopo contestò al ministro dell'Interno, Matteo Salvini, il reato di sequestro di persona, innescando un giro vorticoso di procure tra Agrigento, Palermo e Catania. Forse il grande pubblico imparò a conoscere allora il magistrato sessantenne - che oggi indaga sulla vicenda Sea Watch e sulla sua capitana - con alle spalle una solida storia professionale, al centro di strali e da tempo bersaglio di minacciosi avvertimenti anonimi con espliciti riferimenti alla questione migranti.
Ad Agrigento Patronaggio approdò nell'ottobre 2016. Un ritorno, perché qui negli anni Novanta ricoprì l'incarico di capo dell'ufficio dei gip. Poi Mistretta, Trapani, Palermo. Nel corso della cerimonia di insediamento, il procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, che lo ebbe a lungo come vice, pronunciò parole profetiche: "Ho avuto modo di seguire il suo percorso professionale fin dagli esordi. Sono certo che la sua nomina lascerà un'impronta profonda, segnando il passaggio di fase, tra un prima e un dopo".
Quanto toccò a Patronaggio parlare, disse varie cose, una su tutte: "In un'area di frontiera come Agrigento, e quindi Lampedusa, bisogna fare i conti con il fenomeno dei migranti tenendo conto che si tratta di persone costrette a lasciare con dolore terra e affetti, a fuggire da guerra e miseria". Una ragione in più "per non considerarli nemici".
Battesimo di fuoco a Trapani, dove fu giudice istruttore nel processo "Iside 2", contro la massomafia. Poi i più importanti filoni tra mafia e appalti, facendo luce su una super struttura criminale, una sorta di comitato di grandi affari. Quindi, lo storico processo "Akragas" su vicende criminali ventennali, che si conclude con ventuno ergastoli e la condanna di Giovanni Brusca.
Da lì, il passaggio alla procura di Mistretta per gestire altri processi importanti. Da sostituto procuratore generale di Palermo chiese la condanna per Marcello Dell'Utri, per concorso esterno in associazione mafiosa; inquisì il generale Mario Mori per la mancata perquisizione del covo di Riina. "Lui non si è mai tirato indietro", spiegò ancora Scarpinato, indicando un altro elemento cruciale: "Tutto questo non si conquista con lo studio, ma bisogna avere una tempra particolare nel gestire e sopportare le campagne mediatiche dell'ostinazione, affrontando mondi potenti".
Di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Patronaggio si è definito "l'amico dell'ultima ora. Da loro ho imparato moltissimo. Falcone è stato animatore di una stagione culturale della magistratura. Un magistrato che interviene nei casi più importanti. Mi ha insegnato un metodo rigoroso". Ricorda le sue riunioni: "Erano informali e ci insegnava l'abc della mafia e come fare le indagini patrimoniali".
E Paolo Borsellino era "mosso da una forte passione per questo mestiere. Fu lui stesso a chiamarmi e a comunicarmi che il Csm mi aveva nominato alla procura di Palermo come sostituto. - Cerca di venire e ricordati di comportarti bene - questo mi disse".