È reato commercializzare i prodotti derivati dalla cannabis light. È la decisione presa questo pomeriggio dalle sezioni unite penali della Cassazione, presiedute dal presidente aggiunto Domenico Carcano. Il sostituto procuratore generale della Cassazione, Maria Giuseppina Fodaroni, aveva chiesto la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
"Integrano il reato" previsto dal Testo unico sulle droghe (articolo 73, commi 1 e 4, dpr 309/1990) "le condotte di cessione, di vendita, e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L, salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante". Questa la massima provvisoria emessa dalle sezioni unite, dopo la camera di consiglio di oggi.
La commercializzazione di cannabis 'sativa L', spiegano i supremi giudici, "e in particolare di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell'ambito di applicazione della legge 242 del 2016", sulla promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa.
Con la loro informazione provvisoria - alla quale nelle prossime settimane dovrà seguire il deposito della sentenza con le motivazioni - i giudici della Corte osservano che la legge del 2016 "qualifica come lecita unicamente l'attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole" che "elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati".
Come era nato il caso
A sollevare il caso davanti al massimo consesso della Suprema Corte era stata la quarta sezione penale, nell'ambito di un procedimento riguardante il sequestro effettuato nei confronti di un commerciante. Il Riesame di Ancona aveva annullato il sequestro e il procuratore capo del capoluogo marchigiano si era quindi rivolto alla Cassazione. Con un'ordinanza dello scorso 27 febbraio, i giudici di piazza Cavour, evidenziando il "contrasto giurisprudenziale" emerso negli ultimi mesi, avevano trasmesso gli atti alle sezioni unite.
Un "primo indirizzo interpretativo", infatti, aveva dato "risposta negativa" al quesito se la legge consentisse la commercializzazione dei derivati della coltivazione della canapa (hashish e marijuana), ritenendo che la normativa in vigore dal 2016 "disciplini esclusivamente la coltivazione della canapa", consentendola, in limitate condizioni, "soltanto per i fini commerciali" elencati nella stessa legge "tra i quali non rientra la commercializzazione dei prodotti costituiti dalle infiorescenze e dalla resina".
Pertanto i "i valori di tolleranza di Thc consentiti (0,2-0,6%) si riferiscono solo al principio attivo rinvenuto sulle piante in coltivazione e non al prodotto oggetto di commercio" e "la detenzione e commercializzazione dei derivati della coltivazione disciplinata dalla predetta legge, costituiti dalle infiorescenze (marijuana) e dalla resina (hashish), rimangono, conseguentemente, sottoposte alla disciplina" prevista dal Testo unico sulle droghe.
Che succede ai negozi
"Da domani non potrà più essere venduta la cannabis light. Se la commercializzazione è un illecito, e lo ha stabilito la Cassazione, è stato affermato che la vendita al pubblico è un reato. Quindi i negozi nati in questi anni non potranno piu' venderla". Giacomo Bulleri, avvocato di Livorno ed esperto dei temi giuridici legati alla commercializzazione delle infiorescenze di canapa, commenta così all'AGI quello che a suo avviso sarà il primo effetto della decisione presa questo pomeriggio dalle sezioni unite penali della Cassazione.
"Certo, per un quadro più chiaro bisognerà attendere le motivazioni. Ma se le cose stanno così - aggiunge - a questo punto quello che mi auguro è che sia stata vietata solo la vendita al pubblico e che questa decisione non incida sulla produzione della canapa e il conferimento a terzi". "Non si tratta solo di cannabis light venduta nei negozi - conclude Bulleri - ma di un'intera filiera industriale che riguarda una vasta gamma di prodotti come gli estratti e gli oli per industrie alimentari o cosmetiche".
"A rischio migliaia di posti di lavoro"
"Se dovesse essere confermato quello che trapela dai media, non esito a dire che la decisione della Cassazione per noi è una tragedia. Di fatto la pietra tombale di un'intera filiera industriale che si è sviluppata in questi tre anni, e avrà un impatto su almeno 10 mila persone che lavorano in questo settore. A partire dalla mia azienda". Riccardo Ricci, imprenditore e presidente dell'Aical, Associazione italiana cannabis light, non nasconde la propria preoccupazione per la decisione.
"Al momento - dice Ricci - abbiamo letto la notizia sui media nazionali, ma stiamo aspettando l'ufficialità sul sito della Cassazione e capirne le ragioni. Ad oggi ci sono in Italia circa 3 mila negozi che vendono prodotti derivati dalla cannabis, 2,5 mila nati negli ultimi 24 mesi che vendono esclusivamente questi prodotti". L'Aical, che rappresenta produttori, trasformatori e negozi della filiera della cannabis, calcola un giro d'affari legato a questo business di circa 80 milioni di euro, con crescite esponenziali negli ultimi anni fino al 100%.
"Nei negozi che commerciano questi prodotti il 90% del fatturato arriva da infiorescenze e oli, quindi mi pare ovvio che se non potranno più farlo queste attività commerciali chiuderanno", continua Ricci. "Solo la mia azienda a Forlì ha raggiunto 3,8 milioni di fatturato in due anni dalla fondazione (2017, ndr) e dà lavoro a 50 persone. Questo senza contare i contadini e tutta l'industria che si e' sviluppata in questi anni. E sono certo che gli stessi numeri della mia li hanno almeno altre 10 aziende", conclude.
C'entra il clima politico?
"Quello che mi sembra evidente è che la Cassazione ha dato un'interpretazione restrittiva della legge 242 sulla produzione di cannabis light, e questo credo sia effetto del mutato clima politico che si respira in Italia". Adriano Zaccagnini - eletto nel Movimento 5 Stelle, poi passato al gruppo misto - è stato tra i parlamentari che hanno contribuito all'approvazione della legge 242 e oggi commenta così all'AGI la decisione della Cassazione.
"In questo clima politico sfavorevolissimo è stata applicata un'interpretazione restrittiva, mi pare evidente che i giudici abbiano cercato e trovato un cavillo che sostanzialmente mette fuori legge tutti derivati", continua Zaccagnini, che oggi fa parte del Cannabis social forum. "Quello che c'è da aspettarsi è che questa decisione metterà fuori legge tutte le attività commerciali nate in questo settore, con effetto immediato, perché il discrimine diventerà non più la percentuale di effetto drogante contenuta nelle infiorescenze, ma la quantità di infiorescenze possedute e commercializzate".
Le reazioni della politica
Già fitte le reazioni della politica. "Siamo contro qualsiasi tipo di droga, senza se e senza ma, e a favore del divertimento sano", dice il ministro dell'Interno Matteo Salvini. "Questa decisione conferma le preoccupazioni che abbiamo sempre manifestato in relazione alla vendita di questo tipo di prodotti e la bontà delle posizioni espresse e delle scelte da noi adottate fino ad oggi", afferma il Ministro per la Famiglia e le Disabilità, con delega alle politiche antidroga, Lorenzo Fontana.
"Il pronunciamento della Cassazione sulla cannabis vanifica il lavoro, compiuto spesso all'unanimità, delle commissioni Agricoltura e Sanità della Camera della passata legislatura e mette a rischio migliaia di posti di lavoro e un intero settore agricolo, rilanciato proprio grazie alla norma che ha recepito la Direttiva Ue in materia", scrive su Facebook il deputato Pd Michele Anzaldi, "i valori della cannabis light, inferiori allo 0,6% di Thc, non hanno nulla a che vedere con le droghe, neanche quelle leggere. Salvini e la Lega in queste ore fanno solo confusione".
Il segretario di +Europa, Benedetto Della Vedova chiede invece di "mobilitarsi da subito per una iniziativa legislativa che salvaguardi il settore della cannabis light dalla inutile furia proibizionista di Salvini e Fontana".