Uno su tanti o un caso unico? Comunque un “caso di scuola”, per questo da studiare attentamente e dal quale trarre spunti di riflessione e indicazioni utili. Per fare meglio o correggere lacune.
È il caso di Marek, nome di fantasia, che il Corriere della Sera porta alla luce in relazione al reddito di cittadinanza e alla sua erogazione. In quanto Marek, e altri come lui, hanno deciso di rinunciare al sussidio.
Perché? Il motivo è presto detto: perché alle Poste gli hanno detto che sulla tessera gialla appena aperta e che ha in mano “ci sono su 186,46 euro, quanto gli spetta fatti i calcoli del suo Isee,”. Quindi Marek “ha deciso che il gioco non vale la candela
Ma qual è il profilo di Marek? Non è né occupato né disoccupato, né giovane né pensionato, né povero né non povero.
Antonio Polito, che lo tratteggia, lo definisce semplicemente come “un singolare prodotto della complessità sociale dell’indigenza, e di quel palcoscenico della vita che è Napoli, dove niente è come appare”.
Ha 53 anni, Marek. Che si descrive come “un lavoratore occasionale per due aziende” e per trenta giorni lavorativi “ciascuna”.
Marek “non fattura più di cinquemila euro l’anno”. “Ci sto attento, perché se supero quella cifra devo aprire una partita Iva e allora se ne vanno centinaia di euro ogni tre mesi” dice.
Il dilemma tra crescere ed emergere
Marek vende libri di medicina. Fa campagne promozionali. È venditore e vetrinista.
“Mi chiamano quando hanno bisogno” racconta. “Non potrei giurare che fattura tutto il lavoro che fa. E neanche lui. È un classico esempio della trappola delle soglie. L’Italia è piena di gente che non vuole ‘crescere’ per non emergere” spiega il giornalista.
Ma la sorpresa di Marek è che si aspettava 780 euro, “come mi avevano detto” e invece nella tesserina se n’è trovati appena o solo 186,46. Almeno se ne aspettava 500, visto che come assegnatario di un alloggio popolare non paga l’affitto.
Ora il suo problema qual è? È che adesso gli chiedono di firmare il DID, cioè una dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro su cui lui sta ragionando così, anche se non ha molto tempo per poter decidere: “Ma si parla di otto ore di lavori sociali alla settimana, più corsi di formazione”.
“Se mi mettono per iscritto che le posso cumulare in un solo giorno, e che i corsi sono serali, allora posso continuare a lavorare e accetto l’assegno. Ma nessuno me lo sa dire”, aggiunge preoccupato, “E se io invece devo fare due ore al giorno, più due di viaggio, quando lavoro più? Oppure mi scrivono su un pezzo di carta che io rinuncio a tutto per sei mesi, faccio i corsi, e poi dopo ho un lavoro fisso. Allora ci sto. Ma con un milione di domande, dove li trovano un milione di posti di lavoro. Chi ci crede?” Già.
Di sicuro non è solo
Il caso di Marek non è isolato. “All’Inps di Napoli in parecchi stanno chiedendo quale sia la procedura per ritirarsi, spesso proprio perché la cifra ricevuta è troppo bassa rispetto alle attese” analizza Polito.
Ma nessuno lo sa e l’ipotesi del ritiro non era comunque contemplata o anche solo adombrata.
Allora, cosa ci dice alla fin fine la storia di Marek? Secondo Polito ci dice innanzi tutto due cose: “La prima è che sono riusciti a ottenere la carta anche persone che sono di fatto sopra la soglia di povertà, e che dunque possono rinunciare a un contributo che considerano troppo modesto; la seconda è che il sistema di controlli messo in piedi è efficace come deterrente anti-imbrogli”.
Poi ce n’è una terza, ed è forse la più importante, e cioè “che il reddito di cittadinanza è stato così tanto piegato verso l’avviamento a un ipotetico lavoro, per la paura del governo di apparire assistenzialista, che alla fine rischia di entrare il conflitto con il lavoro che c’è: duro, difficile, precario, sporco, talvolta nero, ma pur sempre lavoro. E la gente, comprensibilmente, il lavoro che c’è se lo tiene stretto”.
Tanto più che Marek segnala il caso di un amico che non fa nulla, “non ha voglia, vive a casa della fidanzata” e che i 480 euro che gli hanno dato “lui se li prenderà, non gli cambia niente”.
Su questo aspetto Marek è preciso: “Conosco gente – dice – che invece ha bisogno ma perde i 280 dell’affitto perché non ha il contratto della casa registrato; e quale padrone di casa registra il contratto a Napoli? Poi conosco uno che fa i mercatini, affitta il posto del titolare della licenza. Quello sta bene, ma risulta senza reddito. Insomma, non funziona. Io avevo capito un’altra cosa”.
Dunque, il caso di Marek che forse “non è facile mirare con precisione alla povertà”. “Il reddito di cittadinanza è un primo tentativo”. Che andrà di certo perfezionato.
E quello di Marek è un caso da studiare. Anche per capire se la povertà è davvero come ce la si immaginava, chiosa Polito.