“Con una quantità sufficiente di burro, qualsiasi cosa è buona”, diceva la famosa cuoca statunitense Julia Child e come lei devono pensarla in molti oggi, visto che questo alimento sta vivendo una vera e propria rinascita con boom di vendite in tutto il mondo. Per molto tempo accantonato nel frigo, a favore di altri condimenti più magri, il burro è riuscito a conquistare il palato dei cinesi - tradizionalmente poco amanti del latte e dei prodotti caseari - al punto che la Cina si è posizionata tra i principali importatori.
Il burro è tornato così prepotentemente sulle tavole che negli ultimi anni alcuni Paesi, dalla Francia alla Norvegia, dal Canada al Sudafrica, sono rimasti a secco di scorte. Ma cosa c’è dietro il rinnovato amore? Di sicuro tre fattori hanno contribuito alla sua ascesa, si legge su Quartz: il contraccolpo subito dalle carni processate, la popolarità di alcuni chef celebri che ne fanno uso e le ricerche mediche che mettono in dubbio il legame tra grassi saturi e problemi cardiaci. Mentre medici e nutrizionisti non sono ancora propensi a considerarlo un cibo salutare, c’è consenso sul fatto che il segreto è nel consumo moderato. Ma quanto se ne consuma? Ecco alcuni numeri.
I numeri del burro
- 8,2 kg: E’ il consumo pro-capite di burro in Francia, Paese leader, nel 2016
- 2,3 miliardi di dollari: Il valore di burro salpato nel 2017 dai porti della Nuova Zelanda, il primo esportatore
- 82%: Quantità minima di grasso di latte richiesto in Europa per il burro
- 80%: Quantità minima di grasso di latte richiesta negli Usa
- 2:1: Il rapporto di farina e burro in un croissant
- 60 dollari: Il prezzo di 1 libbra (450 grammi) di burro in serie limitata del top brand Animal Farm Butter, nel Vermont.
In Italia
Rispetto ai cugini europei gli italiani consumano davvero poco burro: solo 2 kg pro-capite all’anno. Tuttavia, secondo gli ultimi dati del 2018 di Coldiretti, il 2017 ha segnato la riscossa del burro, con un aumento del 12,5% della spesa nel carrello delle famiglie italiane. L’impennata è dovuta in parte al riconoscimento di positive proprietà da parte di recenti studi scientifici che hanno fatto cadere pregiudizi nei confronti di un prodotto che viene oggi percepito come più naturale e salutare di altri. È quanto emerge da una analisi della Coldiretti sui dati Ismea che evidenziano una decisa inversione di tendenza negli acquisti per uno dei condimenti più tradizionali della dieta degli italiani.
(FOTO: JEAN PAUL CHASSENET / MOOD4FOOD / FOODCOLLECTION)
“Il burro – aveva spiegato Coldiretti – sta riacquistando popolarità ed è tornato ad essere uno dei grassi più usati in cucina per i suoi molti suoi punti di forza: a differenza delle margarine non è un prodotto chimico, è meno calorico degli oli, non è idrogenato ed è ricco di nutrienti come il calcio, sali minerali, proteine del latte e la vitamina A, senza contare che è un prodotto del tutto naturale e senza conservanti”. E in più, fattore da non sottovalutare, è più economico dell’olio”. A spingere la domanda del burro anche la scelta di un numero crescente di industrie alimentari di orientarsi verso prodotti “olio di palma free” che hanno avuto un incremento record delle vendite del 17,6% nel 2017 sulla base delle elaborazioni Coldiretti sui dati dell’Osservatorio Immagino.
L’economia del burro
La recente crisi del burro non è dovuta solo a un’aumento della domanda. Dietro ci sono anche l’aumento dei prezzi, la diminuzione nella produzione di latte, ma anche (nel caso della Francia) i problemi tra produttori e rivenditori. La produzione di latte in Europa è diminuita a partire dal 2016 a causa delle cattive rese delle colture foraggere per alimentare gli allevamenti e per le condizioni meteorologiche sfavorevoli. Non solo. Per produrre il burro serve un sacco di latte. Con 100 litri di latte si producono solo 4.5 chili di burro. Il prodotto necessita di tanto latte e duro lavoro, e di conseguenza il prezzo dovrebbe essere più alto di quello cui viene venduto.