Chi ha dimenticato la tragedia del Nordest, che s’è abbattuta sul bosco di Paneveggio tra le montagne del Trentino a cavallo fra il 27 e il 29 ottobre dell’anno scorso? Ben 42 milioni di alberi che vivevano su un’area di 43 mila ettari di territorio rasi al suolo da raffiche di vento che hanno soffiato a più di 200 chilometri all’ora. Un’intera foresta abbattuta in quella che è stata la più grande tragedia naturale della nostra montagna che mai si ricordi. Un tesoro per il clima, ma anche per l’economia
Ora però dal “legno di tempesta”, racconta un ampio servizio de la Repubblica dello scorso 24 aprile, dal titolo “Violini, guard-rail e gioielli, così rivivono gli alberi abbattuti”, terminati il recupero e la stagionatura “promettono di risorgere”. Così ripartono laboratori artigiani e aziende, rinascono quartieri urbani e centrali energetiche verdi. “Fra tre anni saranno pronti gli ‘alberi di risonanza’, gli abeti bianchi di 250 anni, famosi per aver fornito il legno per i violini di Antonio Stradivari”. A dimostrazione della generosità immeritata che la natura continua a riservare all’uomo, nonostante tutto.
E così a sei mesi da quello che i botanici e i climatologi hanno catalogato come “il più grande evento di disturbo delle foreste mai registrato in Italia”, grazie a cultura, arte e business gli alberi abbattuti diventano ora simbolo di rinascita. Impegnativa, ma pur sempre di rinascita si tratta.
“Icona di questo impegno, dal 10 maggio, sarà l’allestimento dell’architetto Stefano Boeri per Le Troiane, messo in scena dalla regista Muriel Mayette-Holtz nel Teatro greco di Siracusa. La tragedia di Euripide si rinnoverà fra tronchi divelti nella Carnia friulana e trasformati in colonne lignee sospese sul Mediterraneo, sopra un letto di piante morte”. “Per una volta — dice Boeri — in scena andrà il paesaggio che non abbiamo saputo proteggere dalla forza degli elementi naturali (…) davanti ad un doppio pubblico: quello degli esseri umani sulle gradinate e quello degli alberi dietro il palco” scrive Giampaolo Visetti.
Ma la rigenerazione non si ferma qui. “Ad Udine lo chef Stefano Basello – si legge più avanti - si è ricordato invece che gli alberi, quando in montagna si viveva con la fame, venivano mangiati. Assieme al laboratorio milanese di erboristeria di Valeria Margherita Mosca, ricava farina dalla corteccia di abeti bianchi e pecci, di tigli e frassini, sfornando ogni mattina fragranti ‘pagnotte di sussistenza’”.
“Da 8,6 milioni di metri cubi di legname abbattuto nascono però anche opere d’arte, case-clima e prefabbricati, asili green e protezioni stradali di nuova generazione, gioielli ecologici e cosmetici a base di olii essenziali, concimi e vasi da sotterrare nelle valli distrutte per consentire ad oltre 1 milione di semi di generare le future foreste anti-valanghe. Il riaperto museo a cielo aperto di Arte Sella, in Valsugana, il 5 maggio presenterà il restauro delle opere di Kengo Kuma e Michele De Lucchi”.
“Oltre lo shock – si legge ancora nell’articolo - resta la realtà di un recupero ben lontano dall’essere realizzato secondo le promesse di politici e amministratori. Se in Alto Adige gli alberi raccolti sfiorano il 50%, in Trentino si è al 16%, in Friuli poco sopra il 20, in Veneto non oltre il 10%”. E non tanto per il crollo dei prezzi per eccesso d’offerta, quanto piuttosto per “inefficienza e disorganizzazione, l’assenza di un’unica cabina di regia per mettere sul mercato una massa legnosa mai vista”. Nel Nordest italiano, ad esempio, la segheria più grande lavora 38 mila metri cubi di legno all’anno, in Austria, Germania e Repubblica Ceca le imprese arrivano a 2 milioni. Da 3 metri cubi non si ricavano più di 0,1 metri cubi di legno d’alto pregio. Se non si accelera il lavoro assisteremo ad un crack finanziario e a un altro disastro ambientale” spiega Luigi Casanova, presidente onorario di Mountain Wilderness.
“Terminato giugno, non si recupererà più legno pregiato, con luglio i tronchi diventeranno imballaggi, con fine anno solo cippato per centrali a biomassa. Dopo Le Troiane, l’ultima tragedia: dalla mobilitazione popolare per far rinascere le foreste perdute, alla grande svendita politica dei boschi come sempre ignorati” conclude l’articolo.