È finito a Regina Coeli per “aver messo a disposizione la sua funzione pubblica di presidente del Consiglio comunale di Roma Capitale per assecondare, violando i principi di imparzialità e correttezza cui deve uniformarsi l’azione amministrativa, interessi privatistici facenti capo al gruppo Parnasi”. Così ha scritto il Gip nell’ordinanza con cui ha disposto ieri l’arresto di Marcello De Vito, presidente dell’Assemblea capitolina. Lui, già integerrimo campione della trasparenza degli atti amministrativi fa dire al suo avvocato di essere tranquillo e ansioso di poter chiarire tutto ai giudici.
De Vito ha fama da Robespierre. Indefesso e accanito. Che ha sempre puntato il dito contro gli avversari. Senza ammettere repliche. Debolezze e defezioni nella lotta (la sua personale crociata) contro la corruzione. Almeno a parole. E incitava le truppe ad agire ed essere coerenti.
Sono questi i tratti salienti di Marcello De Vito, il presidente dell’Assemblea capitolina finito in manette mercoledì 20 marzo per aver ceduto alle pressioni e ricevuto “mazzette” dagli imprenditori interessati alla costruzione del nuovo stadio della Roma. Così dicono i pm, così lo descrive Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera in un articolo che ne ripercorre iter e carriera.
A partire da quel gesto “delle arance” portate in compagnia di Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista al Sindaco Ignazio Marino nei giorni difficili della sua giunta per chiederne le dimissioni. “Era il 3 dicembre 2014 e a portare beffardi gli agrumi, spiegando che si trattava di un dono simbolico per i carcerati”. Intinge l’inchiostro Stella: “Chi di arance ferisce, di arance perisce”.
“Era proprio il grillino appena ammanettato e inchiodato da quella telefonata sui quattrini ("distribuiamoceli, questi") – prosegue il giornalista - uno dei più accaniti fustigatori dei cattivi costumi capitolini. Basti risentire il suo spot elettorale: "Le mani libere del Movimento 5 Stelle rappresentano un valore importantissimo per Roma. Per la prima volta possiamo andare a colpire gli sprechi, i privilegi e la corruzione con cui i partiti di destra e di sinistra, indifferentemente, hanno campato per anni sulle spalle dei cittadini romani”.
E poi c’è la lunga serie dei Tweet lanciati come frecce nella corsa elettorale a fianco di Virginia Raggi:
"Rapporto choc: corruzione in ogni settore! Ecco perché servono le nostre mani libere!”. “Spazzeremo via sprechi privilegi e corruzione". "Mafia capitale, corruzione, conti fuori controllo, disservizi... E vogliamo anche organizzare le Olimpiadi?!" "Ecco cosa lasciano il Pd e il Pdl nelle municipalizzate di Roma: sprechi, privilegi, corruzione e Parentopoli!""Buche a Roma. Tangenti e intercettazioni: tutti corrotti!”.
“E come va a finire tutto questo? – si chiede Stella – Con il giustizialista giustiziato”. A De Vito “i record sono sempre piaciuti”, sottolinea Il Fattoquotidiano in un taglio basso di pagina 4: “E si è preso anche quello di essere il primo eletto nella storia dei Cinque Stelle a finire arrestato per corruzione”.
Tanto che “in sette anni di onorata carriera nel Movimento, fino all’espulsione di ieri, di ‘soddisfazioni’ se n’è prese parecchie: primo candidato sindaco grillino della Capitale (fu lui a sfidare Ignazio Marino al grido di ‘saremo una squadra competente, preparata e soprattutto onesta’), delegato di lista per la presentazione del simbolo alle Regionali del 2013, consigliere comunale più votato dai romani alle Amministrative del 2016 con 6.451 preferenze”.
Per lui, il Movimento decise addirittura “di violare per la prima volta il divieto di andare in tv”. Per invertire i sondaggi, per migliorare la visibilità. Ma non finì bene: nonostante il boom grillino alle politiche di tre mesi prima “raccolse uno scarso 12 per cento. Eppure, per i cinque anni a venire, l’avvocato quarantenne del quartiere Talenti, è rimasto il volto più noto dei Cinque Stelle in Campidoglio. Tradotto: alle Comunali del 2016, De Vito era sicuro di correre di nuovo da sindaco, e stavolta con la vittoria in tasca. Non è andata così: il voto online ha premiato Virginia Raggi. E De Vito mai s’è rassegnato a quella sconfitta inattesa”.
Nel frattempo, però, “aveva incassato un posto da consigliera regionale nel Lazio per sua sorella Francesca, uno da assessore municipale per la sua compagna Giovanna Tadonio ed era diventa- to il presidente dell’Assemblea capitolina”.
La Repubblica racconta invece come la Corsa al Campidoglio di De Vito “fu stroncata tra i veleni interni a vantaggio della Raggi” e di come “Il presidente dell’Assemblea capitolina De Vito non è un marziano in Campidoglio (primo degli eletti per preferenze nel 2016), né un battitore libero. Né, soprattutto, lo è lo studio legale di via Col Di Lana 22 (quartiere Mazzini) dove De Vito ha lavorato prima del grande salto in politica e dove traffica con l’avvocato Camillo”, scrive Carlo Bonini sulle stesse colonne. Mentre il ritratto che ne fa La Stampa di Torino è quella dell’ascesa e caduta di un uomo “anti-Raggi” che però “ha imparato a flirtare con i costruttori”, aggiungendo: “Un giorno, non molto lontano, basterà semplicemente la frase pronunciata dall’avvocato Camillo Mazzacapo a Marcello De Vito: "Marce’, dobbiamo sfruttarla sta cosa", per ripiombare nell’atmosfera di ieri, di oggi, di questa Terza Repubblica già moralmente ammaccata, un po’ come avviene quando sentiamo la mitica "A Fra’, che ti serve" e subito ritorniamo alla Prima Repubblica, ai suoi mondi di maneggioni e favori, di imprenditori e politici che facevano comunella di potere e di soldi”.
Il quotidiano che esce sotto la Mole ricostruisce la figura politica dell’arrestato: “De Vito sembrava essersi affezionato al suo ruolo, in una città dove ci sono sempre due, tre città dentro. Nove giorni fa, il 12 marzo, è arrivato persino a dire sulle Olimpiadi: ‘Non farle è stata scelta prudenziale, oggi forse sarebbe stato diverso’. Si trovava di fronte a una platea di costruttori romani”.
“Gente media, con carriere medie, titoli medi, capacità meno che medie, che improvvisamente e per irripetibile coincidenza si trova proiettata in ruoli d’importanza strategica, al centro delle istituzioni, negli snodi più rilevanti della macchina amministrativa. E che da lì si attorciglia, sempre più, con un nodo di esterrefatto piacere, quasi con la perversa delizia di soccombere, in un rovo di balle, pasticci, imbrogli, fidandosi sempre delle persone sbagliate, approfittatori, piccoli arrampicatori, affaristi e mezzi furfanti”, così tratteggia la figura di De Vito Salvatore Merlo sul Foglio.
Per Il Giornale, invece, De Vito ha impersonificato in tutti questi anni il ruolo e la figura della “Sfinge dura e pura che giurava: ‘Batteremo i corrotti’”. Soprannome datogli “proprio per quel viso inespressivo che sembra non tradire mai emozioni”. Ma l’ultima foto lo ritrae, invece, con una smorfia.