Enrico Mentana, 64 anni compiuti oggi e non sentirli. Il direttore del Tg di La7 non ha bisogno di presentazioni, ma da qualche tempo ha voluto vedere il mondo anche da un’altra angolazione: quella dell’editore. Il 18 gennaio la sua creatura Open, affidata alle cure di un giornalista esperto, Massimo Corcione, e a una squadra di venti giovani giornalisti, compie un mese.
Enrico, cosa hai imparato nel tuo primo mese da editore?
Ho imparato ad avere pazienza con i giovani che non sono come noi e non sono ancora formati professionalmente. Ma io avevo in mente un giornale online che li facesse lavorare, che desse loro una opportunità, come il primo giorno di scuola. Se gli spieghi le cose come le vorresti tu, rischi di farli diventare come i bambini che nelle manifestazioni canore imitano i grandi. Io credo che invece debbano trovare la strada loro, senza pretendere che facciano le cose come le avremmo fatte noi.
Come è cambiata la copertura della politica nell’era dei social media? Siete alla rincorsa dell’ultimo tweet?
Open non ha bisogno di questo. Uno dei motivi per i quali l’informazione in Italia non ha acquirenti tra i giovani è proprio questo: se vuoi sapere cosa dicono Salvini o Di Maio basta seguirli sui social media, piattaforme naturali per le nuove generazioni. E questa è un’altra lezione che abbiamo imparato: è inutile e dannoso fare il pastone politico, uno degli ingredienti, del veleno che ha ucciso l’informazione agli occhi delle nuove generazioni.
Giornalismo di desk o da marciapiede?
Con il tempo faremo un giornalismo il più possibile misto. Ma andare in strada è come una maratona olimpica, non come la mia – ride. Per fare giornalismo di strada ti devi preparare, allenare, non si improvvisa, ci devi arrivare. Nel giornalismo sul campo rischi di venire investito se ci arrivi impreparato.
In Europa ci sono buoni esempi di giornalismo sostenuto dagli abbonamenti dei lettori, penso a Mediapart in Francia, perché hai scelto la formula dell’informazione free sostenuta dalla pubblicità?
Questo è un mio vizio: non ho mai cercato di copiare, che poi è anche uno dei problemi dell’informazione. Per come la vedo io, non bisogna avere modelli perché se fai qualcosa che è già stato fatto, se copi, vuol dire che hai già perso.
Ad Open lavorano venti giovani giornalisti, puoi fare un primo bilancio?
Siamo partiti da un mese e loro lavorano al progetto da un mese e mezzo, per carità, aspettiamo e diamo loro il tempo di crescere, che è poi la cosa più importante. Noi siamo nati professionalmente in un’epoca dove entravamo in redazioni dove le regole, i flussi di lavoro erano codificati e seguiti da tutti: poteva capitare che qualcuno imparasse in fretta. Oggi lo scenario è totalmente cambiato e in continua evoluzione: in questo contesto le regole, le procedure e i flussi te li devi inventare di volta in volta. E’ molto più complicato e difficile di prima.
Tuo figlio Stefano lavora per Tpi, una testata concorrente. Ti rivolgi a lui per i consigli?
Certo che mi dà consigli. Così come io li darei a lui se me li chiedesse. Non ho difficoltà ad ammettere che all’inizio certe cose non le capivo, come ad esempio il Seo (l’ottimizzazione per essere trovati dai motori di ricerca) o i Tag (che marcano le parole chiave di un articolo), e tante altre cose tecniche per capire le quali mi sono rivolto a lui, che pure è un mio competitor.
Perché hai scelto di fare un sito che fosse ottimizzato prima di tutto per gli smartphone, anche a costo di penalizzare gli utenti da postazione fissa?
Ti faccio un esempio: è chiaro che se uno dice: facciamo cibi adatti solo per la cena e non servi a pranzo sai che poi questo lo perdi. Però scegli di concentrati su quello che pensi di saper fare meglio. La maggior parte delle persone si informa attraverso lo smartphone e, se guardo avanti, penso che questo sarà sempre di più lo strumento unico per informarsi, guardare film e fare tutto quello di cui abbiamo bisogno. Certo, almeno finché non saremo superati da qualcosa di nuovo, come è già accaduto in passato. Ma adesso dallo smartphone passa tutto, per i giovani soprattutto. Mi pareva che questa fosse la scelta migliore per coniugare una informazione fatta dai giovani per i giovani, per dare un futuro a chi ci lavora, ai lettori e al giornalismo.
Open è molto attento al fact-checking. Quanto è importante la verifica dei fatti?
Moltissimo. Ciò che identifica le modalità per combattere le bufale e persegue una certificazione continua di quello che scriviamo mette in sintonia con chi cerca una informazione certificata e attendibile, contro gli avvelenatori dei pozzi.
La cosa che non rifaresti?
Francamente? Non per autoindulgenza, ma non c’è niente che non rifarei, compreso non accettare contributi economici da nessuno. Ho cercato di avere delle Colonne d’Ercole ben precise, anche nella scelta della pubblicità, tipo il poker online. Poi magari tra due anni te lo dico cosa non rifarei più. La cosa più probabile è che in questa operazione ci perda, anche tanto, certamente non ci guadagnerò, ma quello che mi ero riproposto: fare qualcosa per i giovani e per il giornalismo che mi ha dato tanto.
E di cosa sei più fiero?
Di aver fatto al meglio il mio lavoro di direttore e conduttore di telegiornale: non ho tolto una stilla di fatica, di lavoro al mestiere che faccio al Tg, che, come sai, non è una passeggiata. Ma anche di non aver lesinato nulla per dare a questi giovani giornalisti tutti gli strumenti necessari per fare al meglio questo lavoro, comprese le agenzie, cosa che non tutti i grandi editori fanno ancora.