“Voi che esponete un Daspo persino al viso di un ragazzo: Vergognatevi”, a scrivere il tweet Patrizia Moretti, il viso è quello di Federico Aldrovandi, suo figlio, lo studente ferrarese deceduto sotto i colpi di quattro agenti di polizia il 25 settembre del 2005. Il daspo al quale si riferisce la madre del ragazzo riguarda un fatto avvenuto domenica prima dell’inizio del match di serie A Roma-Spal. A renderlo noto sono gli stessi appartenenti al gruppo di tifosi Otto Settembre, con un post sulla pagina Facebook Curva Ovest Ferrara: “All'ingresso dello stadio Olimpico ci è stato negato per l'ennesima volta l'ingresso del bandierone con il volto di Federico Aldrovandi, ma come se non bastasse ci è stato impedito di entrare con i nostri colori e le nostre magliette: quelle raffiguranti il volto di Federico, quelle del gruppo Otto Settembre e anche le comuni magliettine di Curva Ovest Ferrara. È stata calpestata non solo la nostra dignità di tifosi e di ultras, ma anche i nostri più elementari diritti di cittadini”.
Al gruppo - raccontano loro - è stato impedito di far entrare il bandierone con il volto di Aldrovandi e riguardo le magliette che oltre alla stampa del viso del giovane portavano la scritta “Ovunque tu sarai un coro sentirai” agli uomini è stato chiesto di sfilarle, alle donne di indossarle al contrario. Un’imposizione che non è piaciuta agli ultras che, nonostante i km percorsi per raggiungere la capitale, hanno deciso, per protesta di non entrare dentro l’Olimpico. La spiegazione del niet: non era stata chiesta l'autorizzazione per il bandierone, il regolamento di pubblica sicurezza lo prevede. La richiesta va fatta tre giorni prima della partita presso il gabinetto della Questura della città ospitante: una procedura che riguarda tutti gli striscioni e le bandiere introdotte negli stadi in occasione di partite di Serie A, B e C.
Una protesta alla quale oggi si aggiunge quella del padre di Aldrovandi, Lino Giuliano Aldrovandi, che sempre su Facebook scrive: “Spiace veramente per quei ragazzi che dopo centinaia di km e sacrifici, oggi si sono visti costretti a non assaporare insieme a Federico, una vittoria sportiva. Null’altro che una vittoria sportiva. Ai solerti funzionari vorrei dire loro che Federico oggi non c’era perché ucciso senza una ragione un 25 settembre 2005 da 4 persone in divisa (loro colleghi?), e forse oggi avrebbe potuto anche esserci, in carne ed ossa. Quelle magliette, quella bandiera con quel volto, danno così tanto fastidio? Sono le regole si dirà. Ma allora se un giorno decidessi personalmente di andare allo stadio, o magari, perché no, a teatro, o al cinema, o in piazza con la maglia raffigurante l’immagine di mio figlio, me lo impedirebbero fino a negarmi di tenermi addosso mio figlio? Non pensa qualcuno forse di aver già fatto abbastanza male? Nessuno ha mai chiesto a quei ragazzi alcunché. Quella bandiera, quelle magliette sono un qualcosa che è nato spontaneamente dai loro cuori e dalla loro anima, ed io a chi parla con il cuore magari continuando a tenermi la mano, avrò sempre nei suoi confronti un sentimento grande di riconoscenza umana, di quell’umanità che certuni non riescono ancora a capirne il significato”.