Il Gdpr, il regolamento europeo sulla privacy, è entrato in vigore lo scorso maggio. Da allora è diminuito il numero dei “tracker”, cioè di software che monitorano la navigazione degli utenti sui siti web. Il calo è vistoso proprio nel gruppo più folto, cioè tra quelli che raccolgono informazioni per scopi pubblicitari. Il loro ruolo è chiaro: meglio si conosce un utente e meglio si sceglie l'inserzione giusta. Questo calo ha però un effetto collaterale: sono sempre meno presenti i tracker che fanno capo a società medio-piccole, mentre cresce la copertura di Google. In altre parole: con il Gdpr, alcuni siti si sono in parte ripuliti dai sistemi di tracciamento che accedono ai movimenti degli utenti, ma Google ottiene sempre più informazioni.
Europa contro Stati Uniti
I dati arrivano da un'indagine di Cliqz e Ghostery, società che sviluppano soluzione per bloccare i tracker. Hanno creato WhoTracks.me, una sorta di mappa che rileva chi e dove prende nota degli utenti scandagliando 300 milioni di pagine e mezzo milione di siti. Tra aprile (cioè nell'era pre-Gdpr) e luglio, il numero dei software di tracciamento è calato in Europa del 3,4%. È molto probabile si tratti di un effetto legato al regolamento Ue perché, nello stesso periodo, il numero dei tracker nei siti statunitensi è aumentato dell'8,3%.
Golia batte Davide
Limitando l'indagine solo ai software specializzati nella pubblicità, l'indagine afferma che, a luglio, i tracker di Facebook hanno raggiunto il 6,6% di utenti in meno rispetto ad aprile. I primi 50 fornitori di pubblicità (Facebook e Google esclusi) hanno ceduto il 20%. In generale, gli attori più piccoli di questo mercato hanno perso tra il 18 e il 31% della propria platea. Google, invece, l'ha ampliata dell'1%. Percentuale piccola, ma che (viste le dimensioni di Big G) tradotta in numeri assoluti segna un'ulteriore concentrazione di informazioni e potere.
Perché Google cresce?
Come mai il Gdpr ha prodotto questo effetto? Cliqz e Ghostery non possono avere certezze ma fanno delle ipotesi. Adeguarsi al regolamento è stato un costo. È possibile che Google abbia retto meglio perché ha molte più risorse rispetto ai concorrenti più piccoli. Una versione che però non spiegherebbe la frenata di Facebook. C'è la possibilità che Google abbia sfruttato la propria posizione per incoraggiare i siti a escludere i tracker che fanno capo a intermediari meno potenti. Terza ipotesi (che comunque non esclude le altre due): i proprietari dei siti hanno preferito non rischiare, dando fiducia a Google e vietando l'accesso a società più piccole che avrebbero avuto maggiori difficoltà ad adattarsi al Gdpr. L'effetto, al di là dei motivi, è questo: da quando è entrato in vigore il regolamento sulla privacy, Mountain View è ancora più potente. “Sembra aver sfruttato – spiegano gli autori del rapporto - l'incertezza intorno a Gdpr per consolidare ulteriormente la propria posizione di leader”.
La mappa dei tracker
Guardando all'attività di monitoraggio nel suo complesso, Cliqz e Ghostery hanno osservato una minore presenza di “tracciatori” in tutte le tipologie di siti. Quelli che ne hanno di più (in media 12,4 per pagina) sono quelli di notizie. Che sono però anche la categoria nella quale il calo è stato maggiore (-7,5%). Sui siti di e-commerce, il numero medio di tracker è diminuito del 6,9%, a 9,5 per pagina. Per i siti web d'intrattenimento, la diminuzione del 6,7% porta i software a 10,7. Gli unici in controtendenza sono i siti bancari: i tracker sono aumentati del 7,4%. Anche se il numero medio resta molto più basso rispetto agli altri: 2,6 per pagina.