Undici persone iscritte nel registro degli indagati, accusate di associazione a delinquere, corruzione e concussione. Per quattro di loro, tra cui due funzionari Asl, sono scattate le misure interdittive della sospensione dell'esercizio di pubblico ufficio e il divieto di esercitare attività professionale e d'impresa. Secondo gli inquirenti, la vicenda contestata riguarda l'elusione delle verifiche sanitarie delle Asl e delle successive sanzioni avveniva tramite una società di servizi, intestata al figlio di uno degli indagati, che consentiva di sanare irregolarità, anche gravi, con il rilascio di false certificazioni per attività come bar, ristoranti, pizzerie, molte delle quali nel quartiere Prati e altre zone di Roma Nord.
Il provvedimento, disposto dal Tribunale di Roma, è arrivato a seguito di un'indagine, partita nel 2015, portata avanti dagli agenti del Comando Generale della Polizia Locale di Roma Capitale.
L'attività investigativa dei caschi bianchi, su delega del pm Fava della procura di Roma, ha fatto emergere un sistema corruttivo che vede coinvolti decine di imprenditori romani nel campo della ristorazione ed il settore dei controlli igienico-sanitari. Un circuito illegale costituito da ricatti, consulenze pilotate, rilascio di documentazioni false da cui derivavano forme illecite di guadagno e vantaggi, a vario titolo, per tutti i soggetti coinvolti.
Tutto parte nell'ottobre del 2015 da un controllo svolto dal personale del Comando Generale della Polizia Locale presso un esercizio di ristorazione in piazza Risorgimento, nel quartiere Prati. Durante gli accertamenti sono emerse irregolarità che hanno determinato la chiusura dell'esercizio per gravi carenze igienico-sanitarie. I primi sospetti sono nati il giorno seguente al provvedimento, quando durante un sopralluogo gli agenti hanno trovato il locale invece in piena attività. Il titolare giustificava la riapertura consegnando agli operanti una documentazione, che però presentava anomalie tali da destare sospetti sulla veridicità delle attestazioni. Da qui le indagini.
Nei mesi successivi l'attività investigativa, oltre a confermare le ipotesi sulla falsità delle certificazioni, ha fatto emergere un'ampia rete illegale costituita da decine di casi in cui gli esercenti venivano costretti dai due funzionari Asl a rivolgersi ad una determinata società di consulenza, prospettata come unica soluzione per sanare le irregolarità ed in tempi rapidissimi. Particolare non irrilevante è il fatto che il socio di maggioranza della società fosse proprio il figlio di uno dei due tecnici. Questo espediente avrebbe permesso così ai titolari delle attività di evitare multe salate ed i conseguenti provvedimenti di chiusura.