Due misure cautelari in carcere sono state effettuate dai carabinieri di Taormina nell'ambito di un'inchiesta sui rapporti tra mafia e appalti. I due arrestati - uno residente a Castiglione di Sicilia e l'altro in Germania, sono elementi di spicco del clan "Ragaglia-Sangani", affiliato alla consorteria "Laudani" ed egemone nella frazione nord-orientale dell'area sub-etnea. Il provvedimento cautelare è scaturito da una complessa attività d'indagine, convenzionalmente denominata "PORTO FRANCO", svolta dai carabinieri di Taormina attraverso l'utilizzo di intercettazioni telefoniche e ambientali, che hanno permesso di riscontrare un grave quadro indiziario, nel quale i due arrestati emergono come responsabili di tentata estorsione con l'aggravante del metodo mafioso. Le indagini hanno preso origine da una denuncia, sporta nel febbraio 2016 presso la Stazione Carabinieri di Malvagna (Me), dal responsabile di cantiere della società di Paternò (CT) che si era aggiudicata l'appalto pubblico (per un importo di 630.332,36 euro) relativo ai lavori di completamento della circonvallazione del centro abitato di Malvagna (ME).
Nella denuncia veniva formalizzato il rinvenimento di una bottiglia di plastica contenente del liquido infiammabile, un accendino e un biglietto recante una frase manoscritta in dialetto siciliano dal chiaro tenore estorsivo "CECCATI U AMICO BUONO DI CUSSA" (letteralmente "CERCATI UN AMICO BUONO DI CORSA"), che era stata attaccata alla maniglia di una macchina escavatrice. Le indagini, immediatamente avviate, si indirizzavano dapprima su alcuni pregiudicati della circondario e, successivamente si concentravano sulle due persone oggi arrestate i quali, come emerso dalle testimonianze raccolte, erano stati notati mentre si aggiravano, con fare giudicato "sospetto", nei pressi del cantiere che era in fase d'avvio.
I Carabinieri della Compagnia di Taormina richiedevano, di concerto con l'Autorità Giudiziaria competente, l'autorizzazione per eseguire intercettazioni telefoniche ed ambientali; le attività tecniche consentivano di accertare inequivocabilmente il coinvolgimento diretto dei due indagati nel tentativo estorsivo e il loro agire finalizzato a costringere le vittime ad accettare il pagamento per la "protezione" criminale. In particolare, dalle conversazioni captate si documentavano in modo minuzioso i vari abboccamenti posti in essere dai due per cercare di vincere le resistenze delle vittime; il tentativo di persuadere le vittime "attraverso la dialettica" era caratterizzato da non comune protervia e spregiudicatezza, peraltro non disdegnando all'occorrenza il ricorso all'uso della forza per ottenere un incontro.