Non c’è nessun motivo per mettere freno alla determinazione con cui la Regione Lazio impone dei limiti e delle nuove regole alle captazioni dal Lago di Bracciano. Lo ha stabilito con un’ordinanza il Giudice del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche di Roma che ha respinto la domanda di sospensione cautelare avanzata da Acea Ato 2 e sostenuta anche da Roma Capitale.
Non vuol dire che ci sarà uno stop definitivo alle captazioni, ma che queste dovranno essere attivate nel rispetto delle oscillazioni del lago, solo in casi di effettiva emergenza, e, soprattutto, dovranno essere autorizzate per scritto dalla stessa Regione Lazio.
La parola del giudice
Questo infatti è quanto è stato stabilito dalla determinazione dirigenziale con cui, alla fine di dicembre del 2017 la Regione Lazio ha cercato di regolare la questione del Lago di Bracciano. Un provvedimento che non era piaciuto al gestore del servizio idrico, Acea Ato 2, che pur avendo interrotto volontariamente le captazioni dal lago di Bracciano già a settembre, quando il braccio di ferro tra Virginia Raggi e Nicola Zingaretti aveva raggiunto il suo culmine al termine della estate più siccitosa degli ultimi venti anni, aveva deciso di opporsi con tutti i mezzi a quella nuova forma di regolazione delle captazioni dal lago di Bracciano.
Non tanto perché con lo stop delle captazioni Roma avrebbe rischiato il black-out idrico, ma perché la nuova determinazione, con le nuove regole, e soprattutto, con quella autorizzazione obbligatoria da richiedere alla Regione, metteva a rischio un asset dell’azienda.
Zingaretti esulta
“Una vittoria dei cittadini e dell'ambiente dell'idea del valore dell'acqua pubblica. Ora bisogna continuare a cambiare tutto con investimenti per un nuovo modello sostenibile sulla rete e la qualita' dell'acqua. Questa e' la via giusta" scrive su Facebook il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti.
Un sistema da rivedere
Che ci sia qualcosa da rivedere nel sistema idrico romano e, piu’ in generale romano è sicuro. Basta pensare ai dati sulla dispersione idrica, ancora molto alti che producono uno sperpero enorme di risorse idriche.
I dati presentati nel corso della riunione di Bacino dell’Appennino Centrale parlano chiaro. “Nei circa 80.000 km di reti comunali dell’Italia centrale la media delle perdite è del 47,4 per cento contro una media nazionale che è del 41 per cento. Per ogni litro di acqua immesso nella rete - ha spiegato il Segretario Generale dell’Autorità di Bacino, Erasmo D'Angelis - quasi metà si perde in tubi colabrodo vecchi in media oltre il limite dei 40 anni, con quote che, in alcuni casi, arrivano anche oltre 80”.
È davvero inammissibile che questa acqua sia sprecata, “non solo per il danno diretto in termini ambientali, ma anche per i costi che sono ad essa collegati. Dietro a questo spreco, c’è infatti il lavoro delle aziende che gestiscono il servizio e un enorme impatto in termini e di consumi energetici” ha spiegato D'Angelis. Il flusso idrico che viene disperso è pari a circa 20mila litri al secondo, in pratica dieci volte tanto quanto veniva captato dal Lago di Bracciano nei momenti di picco dei consumi.
Qualcosa in più di un tubo che perde
Non è però solo una questione di dispersione e di perdite. La crisi del lago di Bracciano ha infatti mostrato anche la vulnerabilità nel meccanismo di gestione che non riesce a tener conto, in maniera coerente della disponibilità di acqua da un lato e nella esigenza degli utenti dall’altro. In altri termini del Bilancio Idrico delle città.
Proprio per cercare di andare a verso modelli di gestione più intelligenti delle risorse, il Ministero dell’Ambiente sta dando un forte impulso alla realizzazione degli Osservatori distrettuali permanenti per gli utilizzi idrici, che dovranno cercare di mettere a punto dei modelli, e dei sistemi in grado di prevedere l’insorgenza di eventuali crisi e di riuscire ad avere strumenti che permettano di gestire in maniera più razionale una risorsa che sta diventando sempre più rara.