“Uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”. Le parole vergate dal presidente Antonio Balsamo e dal giudice a latere Janos Barlotti, con oltre milleottocento pagine e dodici capitoli, non lasciano spazio a confusione e mettono un punto fermo rispetto al percorso di verità sulla strage di Via D’Amelio, in cui morirono trucidati il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e anche prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Le motivazioni della Corte d'Assise di Caltanissetta arrivano a conclusione del “Borsellino quater”, perché ben quattro processi sono serviti per mettere un punto fermo su misteri ancora irrisolti e per chiedere nuove indagini.
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Al centro dei depistaggi, il falso pentito Vincenzo Scarantino, i cui servigi sarebbero stati orchestrati da servitori infedeli dello Stato per nascondere le reali responsabilità di persone che “percepivano come un pericolo l’opera del magistrato”, Paolo Borsellino. Un simbolo di questi (quasi) ventisei anni passati cercando la verità è diventata l’agenda rossa del Giudice, scomparsa dal luogo della strage il 19 luglio del 1992. Un fatto che, per la prima volta, trova riscontro in una sentenza: infatti per la corte d’Assise di Caltanissetta c’è un “collegamento tra il depistaggio dell’indagine e l’occultamento dell’agenda rossa di Borsellino”. Ruolo chiave avrebbe avuto il capo della Mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, il quale è “intensamente coinvolto nella sparizione dell’agenda – scrivono i magistrati nisseni -, come è evidenziato dalla sua reazione, connotata da una inaudita aggressività, nei confronti di Lucia Borsellino, impegnata in una coraggiosa opera di ricerca della verità sulla morte del padre”.
La verità non solo di una strage, ma di un intero periodo che vide da un lato le bombe mafiose di Capaci e Via d’Amelio e dall’altro l’incapacità dello Stato (e la connivenza di servitori infedeli) che non permise di salvare la vita, appena cinquantasette giorni dopo la morte di Falcone, all’uomo che tutti sapevano fosse a quel punto il vero bersaglio, Borsellino. Così come mistero rimane l’audizione chiesta a Caltanissetta e mai ottenuta da Borsellino, all’indomani della strage di Capaci.
Nelle motivazioni della sentenza di Caltanissetta si chiarisce, una volta per tutte, che due dei sostituti procuratori in forza alla Procura negli anni del “pupo vestito”, Scarantino, come Ilda Boccassini e Roberto Saieva, scrissero per porre in risalto "l’inattendibilità delle dichiarazioni rese da Scarantino su via D’Amelio”, ma nonostante quelle accuse “La Barbera” continuò a fare “colloqui investigativi con Scarantino nonostante avesse iniziato a collaborare con la giustizia". E proprio sulle possibili calunnie, la procura di Caltanissetta ha chiesto il rinvio a giudizio per tre poliziotti: il funzionario Mario Bo (già indagato e precedentemente archiviato), Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei.
Le parole della Corte arrivano ad un anno di distanza dalla presa di posizione, per la prima volta, della più taciturna dei figli di Borsellino, Fiammetta, che in occasione dell’audizione in commissione Antimafia squarciò il silenzio: “Venticinque anni di schifezze e menzogne”, un quarto di secolo trascorso a “costruire falsi pentiti con lusinghe e con torture”.
Ed oggi quelle parole trovano piena conferma. Una strage di mafia, quella di via D’Amelio, la cui verità è stata certamente depistata da pezzi infedeli dello Stato. Oggi resta tanto da capire, come le responsabilità di quella strage e se ci furono coperture (oltre che per depistare) anche per favorirla.
In questi ventisei, lunghissimi, anni, poco è stato fatto per arrivare alla verità, al contrario vi è stato un forte impegno di qualcuno per non arrivarci ed in buona sostanza ha vinto – drammaticamente – questa operazione.
Borsellino diceva sempre che la mafia l’avrebbe ucciso solo quando altri glielo avrebbero permesso. Purtroppo fu così. Ed oggi che con le motivazioni del quarto processo le indagini riapriranno, è arrivato il giorno che, non solo le famiglie dei martiri uccisi il 19 luglio del 1992, ma tutti gli italiani chiedano a gran voce la verità che riguarda un Paese intero: il nostro.