Criticare l’azienda per cui si lavora su Facebook può portare dritti, dritti al licenziamento per giusta causa. È quello che è accaduto a un’impiegata di Forlì che si era sfogata così sul social network: “Mi sono rotta i coglioni di questo posto di merda e della proprietà”. Peccato che tra i suoi amici di Facebook ci fosse anche il legale della società. Risultato: licenziamento in tronco.
I fatti
La vicenda, riportata dal Fatto Quotidiano, risale al 2012. La sanzione viene confermata il primo e secondo grado ed ora è arrivata anche la sentenza della Cassazione. “La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l0uso di una bacheca Facebook integra un’ipotesi di diffamazione, per la potenziale capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone – scrivono i giudici della Suprema Corte – pertanto la condotta integra gli estremi della diffamazione e come tale correttamente il contegno è stato valutato in termini di giusta causa del recesso, in quanto idoneo a recidere il vincolo fiduciario nel rapporto lavorativo”. Nulla ha potuto la difesa che si è appellata al fatto che la donna, 43 anni e invalida al 67% non era consapevole della eco che avrebbe avuto il suo sfogo.
Gli altri casi
Non è la prima volta che un dipendente perde il lavoro a causa di un utilizzo incosciente dei social network. Nel 2015 era toccato a una dipendente di una mensa scolastica di Nichelino, in provincia di Torino. La donna aveva condiviso sul profilo Facebook – con tanto di restrizioni legate alla privacy - il post di un politico contenente la foto di un piatto di polenta destinato agli alunni contenente un insetto. “Mah…io una polenta con aggiunta di scarafaggi non la mangerei volentieri”, aveva commentato la donna che guadagnava 370 euro al mese. Via dall’azienda.
Nel 2012, invece, un operaio abruzzese era stato adescato sul social dal proprio capo sotto mentite spoglie. Spacciandosi per una donna, il responsabile aveva appurato che l’uomo preferiva chattare con la signora invece di fare il suo lavoro. Anche in quel caso, la Cassazione aveva ritenuto giusto il licenziamento e l’investigazione, considerati anche i precedenti: “Il lavoratore – si legge nella sentenza – era stato sorpreso a telefono lontano dalla pressa cui era addetto”.
Un vademecum
Ma cosa si può scrivere e cosa no sui social? Il sito Workengo prova a stilare un vademecum in 4 punti:
- Intanto bisogna ricordarsi che Facebook in realtà è un luogo pubblico, e va trattato di conseguenza, con prudenza ed accortezza, evitando di pubblicare contenuti che possano nuocere all’immagine e reputazione della propria azienda.
- Denigrare il proprio datore di lavoro o superiori non è esattamente una mossa da Napoleone! Anzi, porta a un licenziamento in tronco pienamente in linea con l’articolo 2.105 del codice civile, che si instaura al momento dell’assunzione e decade solo quando il contratto di lavoro è cessato, e che prevede la fedeltà all’azienda.
- Anche usare troppo i social durante l’orario di lavoro non è una grande idea, dal momento che i computer ed i dispositivi se appartengono all’azienda, non danno alcun adito ad eventuali proteste sull’invasione della privacy, tipiche di chi contesta sanzioni o licenziamenti per l’eccesso di attività su Facebook o altri social.
- Se poi siete assenti da lavoro e pubblicate foto mentre fate aperitivo o siete al mare invece di essere sotto le coperte e stravolti dalla febbre come avevate assicurato, beh…non si può dire che il vostro licenziamento sia immotivato da molteplici punti di vista.