Lei è un avvocato guatemalteco, esperta in diritti umani, e guru del mondo del web. Renata Avila, membro del consiglio direttivo di Creative Commons, ha combattuto insieme al padre di Internet Tim Berners-Lee una campagna per sostenere i diritti umani nell'era digitale in oltre settanta nazioni. Oggi è a Perugia al Festival internazionale del giornalismo, per parlare di come i social network sono in grado di creare pregiudizi tramite la selezione dei contenuti che propongono agli utenti. All’indomani dello scandalo Cambridge Analytica, nel quale una società ha utilizzato le informazioni di 87 milioni di utenti Facebook per condizionare le opinioni politiche degli elettori, la sua comunità è chiamata a indicare la via per la tutela dei diritti degli utenti, che da un giorno all’altro hanno scoperto di non essere mai stati realmente proprietari dei loro dati.
Cosa succederà dopo il Datagate di Facebook?
"Penso che sia arrivato il tempo di un cambiamento. Credevamo che sarebbe bastato quello che è seguito alle rivelazioni di Snowden, ma non è stato abbastanza. Cambridge Analytica è la goccia che ha fatto traboccare il vaso, e per la prima volta ha coinvolto direttamente i politici".
Cosa intende?
"Stavolta non possono fare finta di non aver visto cosa è successo, perché loro sono coinvolti. E non solo loro, ma anche i giornali più mainstream, che hanno corteggiato Facebook per anni, salvo poi capire che forse si era superato il punto di guardia. Qualche mese fa, per la prima volta, anche il New York Times si è fermato e si è chiesto: ‘ma questo è buono per la privacy?’. Ecco il cambiamento che speravamo".
Tutti si chiedono: e ora che facciamo?
"Ora è arrivato il momento di usare un approccio positivo. Un esempio è la vostra la Dichiarazione dei diritti di Internet: non divieti ma diritti sanciti e garantiti".
Si è provato ad applicare ai social network le restrizioni alle quali sono sottoposti i giornali, ma finora hanno respinto al mittente ogni obbligo. I social media sono considerabili editori?
"I proprietari dei social network sono assolutamente degli editori. Anzi, super-editori. Loro hanno la possibilità di personalizzare ogni minimo dettaglio dell’esperienza degli utenti. Gli editori nei media non sono in grado di arrivare a tanto. Hanno un algoritmo che lo fa per loro, e nel frattempo massimizzano i profitti".
Uno dei politici che più si è distinto durante l’audizione di Zuckerberg al Congresso americano è stato Ted Cruz. Eppure è stato il primo cliente di Cambridge Analytica: come lo spiega?
"È vero, è stato uno dei più taglienti nel criticarlo. Ha sollevato il problema del potere che ha Facebook di eliminare contenuti sulla base di quello che ritengono sia giusto. L’algoritmo fa questo, ma non è trasparente, quindi non sappiamo quali scelte vengono fatte. Sta a Facebook l’onere della prova".
Eppure l’algoritmo è una ricetta segreta e custodita gelosamente. Saranno costretti a far vedere gli ingranaggi dentro Facebook?
"Una volta che verranno presi per il collo dalle istituzioni, anche loro dovranno rendere conto di come funziona il loro algoritmo".
Le organizzazioni che tutelano la libertà di Internet si sono battute a lungo per scoperchiare i social network, ma finora avete sempre fallito. Cosa è cambiato?
"Noi siamo sempre stati i piccoli ‘Davide’ della battaglia per i diritti digitali, mentre chi fa lobbying è ‘Golia’, e ha risorse diverse dalle nostre. Ma stavolta noi, che siamo piccolini, veniamo tenuti sul palmo della mano dalle istituzioni, che hanno bisogno di noi per risolvere la situazione. Quando è uscito lo scandalo di Snowden non siamo stati probabilmente abbastanza bravi, ma stavolta non possiamo sbagliare".