"La narrazione che si fa delle donne nei media mainstream italiani è orientata a preservare l’idea che una donna sia al mondo innanzitutto per essere guardata”. Giulia Blasi ha appena finito il suo workshop al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia. Ha parlato di violenza e molestie e di come, questi e altri temi, vengono raccontati dai media italiani. Lo ha fatto, come sempre, senza risparmiarsi. Ma nonostante la stanchezza accetta di fare una chiacchierata su quello che sta succedendo in Italia dopo il caso #metoo.
"Sono così: mi piace chiacchierare". Sarà un'ora piena in cui, alle mie domande quasi timide, Blasi risponderà sempre in maniera decisa, consapevole di essere un punto di riferimento per un movimento, senza partito né colore, che non ha intenzione di fermarsi: "Quella iniziata con il caso Weinstein e la denuncia di Asia Argento è una battaglia che per molti avrebbe dovuto esaurirsi dopo un mese, poi dopo tre mesi, poi dopo sei mesi. E invece siamo ancora qui. C'è ancora tanto da fare ma in giro si nota più consapevolezza. È come un domino che non si arresta. Ci vorrà del tempo ma nessuna rivoluzione si fa in pochi giorni. Forse noi faremo in tempo a morire prima di vedere qualcosa di concreto ma avremo lasciato qualcosa per chi verrà dopo di noi".
Il workshop, partecipato e critico, è un esempio di come questo cambiamento sia in atto. Ma c'è ancora molto da fare: "Ci vogliono più donne nei panel, nei dibattiti e negli incontri pubblici. Non voglio più vedere nei talk show politici solo direttori di giornale, tutti maschi, che discutono tra loro".
Chi è Giulia Blasi
Friulana ma romana d'adozione, classe 1972, scrittrice e giornalista, ha pubblicato libri per Einaudi e Piemme, scritto e condotto programmi per la radio e la televisione, collaborato con diverse riviste come Marie Claire, Vogue, Donna Moderna. È redattrice senior de Il Tascabile, periodico digitale di Treccani. Pochi mesi fa ha coniato l'hashtag #quellavoltache, l'iniziativa anti-molestie che ha preceduto di pochi giorni il lancio di #metoo. Una donna che ci mette la faccia, online come offline.
E per questo ne paga anche le conseguenze. "Mi è successa una cosa che credo sia gravissima. Da due giorni il mio sito è sotto attacco. Non so ancora da chi: sono stata minacciata in maniera anonima su Twitter da una persona con cui fino a quel punto non avevo avuto nulla a che fare".
Qualcuno che non vuole si sollevino certi temi, che si parli di molestie e di sistema malato. Che si sollevino questioni e dibattiti di genere, disparità, lotta. "Ma in Italia lo strumento dell'affirmative action e, bada bene, non parlo di quote rosa, comincia a essere un tema". C'è anche chi le ha consigliato di mettere offline il sito. "Praticamente, per il capriccio di uno che non conosco, io dovrei sparire. Non se ne parla neanche".
Più donne nel giornalismo e meno giornalismo rosa
All'interno dell'Hotel Brufani, il luogo principe del Festival, non si può non parlare di giornalismo. Il pensiero va subito alle pochissime donne che dirigono giornali, come Norma Rangeri al Manifesto, o telegiornali, come Sarah Varetto a SkyTG24. Ma il problema è più profondo. "Ci vorrebbero più firme femminili, soprattutto nelle pagine di cronaca, economia e politica internazionale". Ma non solo. I siti che ospitano solo articoli di giornaliste, che raccontano solo il mondo delle donne, non portano un reale contributo alla causa: "È il recinto delle femmine. Ci chiudono lì così siamo riconoscibili e si può evitare di occuparsi di quello che ci riguarda. Ma i problemi delle donne sono problemi della società intera".
Parliamo (anche) di politica
"Non mi sento in grado di dare consigli al prossimo Governo. Qualunque esso sia". La domanda era sbagliata. Lo ammetto. Ma è un buono spunto per far notare altri particolari. "Prendiamo il caso del PD, il partito delle pari opportunità. La delegazione che è salita al colle era formata soloo da uomini. Non c'era neanche una donna. E allora mi chiedo: davvero non c'era nessuna rappresentante del partito che fosse brava e capace da poter essere inclusa nella delegazione?".
Resta difficile chiedere qualcosa alla politica. È la politica che si deve interrogare sulle scelte fatte. Faccio un passo in più. Sottolineo come negli ultimi giorni si sia parlato della possibile scelta di una donna come capo del governo per superare l'impasse attuale. "E non si fa un nome. Si parla solo di UNA donna. Vorrei capire perché gli uomini hanno sempre un nome e un cognome ma le donne no".
La questione sportiva
Blasi tifa Roma. E ha esultato, come quasi tutti gli italiani, di fronte all'impresa della squadra di Di Francesco contro il Barcellona nei quarti di finale della Champions League Ma in questi giorni c'è stato anche un altro grande successo che non ha avuto lo stesso risalto mediatico: la vittoria della nazionale femminile di calcio in Belgio e una qualificazione ai mondiali sempre più vicina: "La squadra di Ventura clamorosamente eliminata dalla Svezia. Quella femminile a un passo dall'impresa. È qualcosa che ferisce enormemente l'orgoglio maschile. Eppure i passi in avanti del sistema calcistico femminile sono un esempio di quel domino di cui ti parlavo."
Ma non è abbastanza. Le battaglie delle donne nel mondo dello sport sono ancora tutte da vincere. C'è un dilettantismo da superare, un'attenzione maggiore, una professionalità e un talento da riconoscere. Lo fa da anni Assist, un'associazione che si batte proprio per i diritti delle donne in questo campo. E che meriterebbe il sostegno di tutti.
Il passato, il presente e Il futuro
Alla fine cosa dobbiamo aspettarci da #metoo nei prossimi mesi? La prima considerazione che Blasi fa arriva dal passato: "Abbiamo perso vent'anni. Le donne, nel secolo scorso, hanno ottenuto grandi successi e grandi conquiste. Poi si sono fermate, non ci hanno passato il testimone. A vent'anni non sapevo cosa fare, non sapevo dove indirizzare la mia energia, non sapevo come chiamarmi. Ora dobbiamo recuperare quel tempo perduto". Sì, perché se il passato non si può cambiare, il futuro è tutto da scrivere, anche con mezzi diversi da quelli che la stessa scrittrice usava prima della comparsa dei social e della rete: "Molte ragazze oggi usano metodi e linguaggi e temi che non conosco fino in fondo. Il mio compito è riconoscerli, legittimarli, lasciare che si affermino con o senza di me". Un coro più forte di ogni tipo di censura.