La Mafia affonda le sue radici in una terribile siccità, che ne avrebbe causato la nascita e la diffusione. E’ questa la - nuova - teoria emersa da uno studio accademico condotto da Daron Acemoglu, economista all’MIT; dal suo collega di ricerche, Giacomo De Luca dell’università di York; e da Giuseppe De Feo della Strathclyde Business School di Glasgow.
I tre sono partiti da semplice una premessa: che le carestie generino movimenti di sommosse popolari e organizzazioni è ormai una teoria più che accreditata. Fu così con la siccità che colpì la Francia nel 1788, quando i pessimi raccolti fecero impennare i prezzi innescando una crisi sociale che secondo gli storici contribuì alla nascita della Rivoluzione francese dell’anno successivo. Più di recente, 4 anni di siccità in Siria (2006-2010) hanno creato disoccupazione di massa e proteste che in parte si rintracciano nel conflitto che mette ancora oggi a ferro e fuoco il Paese. E se fosse accaduto lo stesso con la più grande e nota organizzazione criminale al mondo?
Per sedare le rivolte l’elite si rivolge alla Mafia
La Mafia fece la sua prima comparsa in Sicilia intorno al 1860, approfittando della debolezza politica regionale e della distanza da Roma. Per decenni l’organizzazione è stata gestita da criminali irrilevanti, concentrati perlopiù nei dintorni di Palermo. E così è stato fino al 1893, anno in cui l’isola fu colpita da una profonda siccità.
Secondo lo studio pubblicato dal National Bureau of Economic Research – che significa che non è ancora stato sottoposto alla revisione di altri accademici -, fu a quel punto che per i contadini, già vulnerabili in precedenza, le cose peggiorarono notevolmente. La produzione di grano, olio di oliva e vino crollò. E quelli che già lavoravano come fittavoli o ‘a giornata’, si ritrovarono senza un impego.
Dai Fasci alla mafia
La fame e l’instabilità economica rappresentarono il carburante del movimento socialista dei “Fasci siciliani dei Lavoratori”, sorto nelle città ma diffuso velocemente nel resto dell’isola. Ai Fasci aderirono centinaia di migliaia di persone che protestavano contro la classe dirigente chiedendo paghe più alte, contratti più lunghi per chi prendeva in affitto un appezzamento di terreno e uno spostamento delle imposte in direzione dei proprietari terrieri.
Questi ultimi chiesero al governo italiano di inviare truppe per sedare le rivolte, ma il primo ministro Giovanni Giolitti si mostrò solidale con i contadini. Così, l’elite siciliana cercò protezione altrove: nella Mafia. Nel 1893, le assemblee dei Fasci furono spesso interrotte in modo violento da istigatori appartenenti alla Mafia. Molte furono le insurrezioni e rivolte per sedare le quali dovette intervenire l’esercito. Dopo mesi di violenze, nel 1984 i Fasci furono dichiarati illegali dal nuovo capo del governo, il siciliano Francesco Crispi, con tanto di arresti ed esecuzioni.
Il governo si indebolisce. E l’economia ne risente
I ricercatori, inoltre, hanno redatto una mappa che mostra la diffusione dell’organizzazione criminale in 357 municipalità siciliane, tra il 1885 e il 1900. Ne è emerso che le zone in cui la Mafia era riuscita a penetrare di più erano proprio quelle in cui più colpite dalla siccità e in cui il movimento dei Fasci aveva avuto più presa. Reclutando le Mafia come esercito privato, i proprietari terrieri raggiunsero lo scopo di preservare il loro status, ma le conseguenze furono drammatiche: la mossa aveva incoraggiato e foraggiato l ‘elemento criminale in Sicilia
. Non solo: secondo il paper a farne le spese furono le istituzioni, che si ritrovarono indebolite sul piano dell’efficienza, e l’economia della regione. Un governo debole, sostengono i ricercatori, non è in grado di fornire servizi e di contrastare le organizzazioni criminali. Una tesi corroborata dai numeri: nelle zone in cui la Mafia si era infiltrata meglio, i ricercatori hanno registrato una diminuzione della spesa destinata alle infrastrutture pubbliche come quelle idriche. La presenza dell’organizzazione, inoltre, è collegata a un calo dell’alfabetizzazione e all’aumento della mortalità infantile.
Uno studioso di Mafia boccia la teoria
“E’ una spiegazione che non ha né capo né coda”, commenta all’Agi Salvatore Lupo, professore di Storia contemporanea ed esperto di Mafia. “Non si può dare una spiegazione così semplicistica a fenomeni complessi come lo è quello della Mafia”. Per Lupo ”non c’è una ragione, ma ce ne sono tante e anche molto eterogenee tra loro”.
Qualche esempio? “La dissoluzione dei patrimoni feudali, la mobilitazione della rivoluzione post-unitaria, le tensioni sociali, le risorse messe a disposizione dalla sponda americana e molte altre”. La teoria delle tensioni sociali “potrebbe anche essere adeguata ma non così come l’hanno intesa e in modo esclusivo”. L’errore più grande e sempre più diffuso, osserva l’esperto, è quello di “applicare una mentalità scientista alle scienze sociali. Non si può fare. Il risultato, appunto, è quello di arrivare a conclusioni banali”