Pur tra mille difficoltà e contraddizioni i centri storici italiani non sono solo un museo a cielo aperto ma restano ancora oggi un perno dinamico dell'economia del Paese. Rappresentano solo lo 0,06% del territorio nazionale e ospitano il 2,5% della popolazione (poco meno di 1,5 milioni di abitanti), ma il numero delle persone che ogni giorno vi lavora, nelle imprese, nelle istituzioni, nel terziario e nel settore del no profit è ben superiore al numero dei residenti ed è stimabile in 2,1 milioni di addetti.
In particolare, nei centri storici è concentrato:
- il 14,5% degli addetti ai servizi pubblici del paese
- il 14% dei servizi di produzione (credito e assicurazioni, attività immobiliari, informatica e attività connesse, ricerca e sviluppo, altre attività professionali, noleggio di macchinari e attrezzature)
- il 13,4% delle attività ricettive.
Il centro storico offre poi occasioni di lavoro in misura maggiore che altrove: infatti dispone di 2,2 posti di lavoro per residente in età lavorativa, mentre il resto della città registra un indice di 1,0 e il dato nazionale arriva a 0,7. Questi alcuni numeri tratti dalla prima indagine conoscitiva sui centri storici dei 109 capoluoghi di provincia italiani realizzata da ANCSA - Associazione Nazionale Centri Storico-Artistici con la collaborazione di CRESME.
Perché questo studio
ANCSA ha realizzato questa indagine come primo significativo passo per la costituzione di un Osservatorio sui centri storici italiani dal quale trarre dati e informazioni quantitative e oggettive per meglio calibrare la proposta di nuove politiche urbane. "Da oltre 30 anni non si svolgono ricerche sulla situazione complessiva dei centri storici italiani - ha sottolineato il presidente di ANCSA, Francesco Bandarin - Questa dimenticanza è davvero preoccupante se si pensa alla importanza che essi hanno per l'economia e per l'immagine del Paese".
Chi cresce e chi no
L'analisi mostra una realtà a macchia di leopardo: vi sono centri storici che stanno attirando popolazione e sono dinamici e in piena trasformazione, mentre altri versano in crisi profonda, in stato di abbandono, con gravi problemi gestionali e occupazionali. In Toscana, Umbria, Marche (esclusi i comuni di costa) e Lazio i centri storici vedono crescere la popolazione; in Veneto, parte della Lombardia, Abruzzo, Molise, parti della Puglia, il sud est della Sicilia, la Sardegna, la popolazione dei centri diminuisce.
Le città studiate vengono divise in 4 fasce: quelle in crescita, sia nei centri storici sia nelle altre parti, e tra queste al primo posto ci sono Prato (+38% la popolazione nel centro storico) e Roma (+15%); le città a trazione centro storico, dove la popolazione è in calo ma cresce nei centri storici, come Verbania (+44%); le città che crescono ma dove i centri storici perdono popolazione, come Ragusa e Ferrara; le città in calo, dove la popolazione scende in ogni quartiere, ovvero Napoli, Catania e Venezia.
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L'identikit di chi vive in centro
Immigrati, famiglie ristrette, anziani ma anche, a sorpresa, moltissimi giovani. Questo l'identikit degli abitanti dei centri storici italiani che emerge dalla ricerca condotta dall'Ancsa. I dati, di fonte Istat, si riferiscono al 2011: nei 109 centri storici esaminati sono censiti 174.151 residenti stranieri, il 3,8% dei 4,57 milioni di stranieri residenti in Italia ma è l'11% della popolazione residente nei centri storici. Nella parte di città non centro storico la percentuale di stranieri sulla popolazione è pari al 7,9%, la media italiana è 7,7%. Ovviamente anche qui la situazione si presenta a macchia di leopardo: nei centri storici di Modena, Roma, Brescia, Reggio Emilia, Prato un abitante su quattro è straniero. Lo scenario muta nelle città che offrono poche chance di lavoro, come Taranto, Bari, Potenza, Brindisi, Enna: qui la percentuali di stranieri sono bassissime. Ma sono basse anche a Sondrio, a Bergamo Alta, Matera e Salerno.
Gli over 65 sono pari al 22,6% della popolazione residente in centro, è un valore alto - sottolinea l'indagine - ma inferiore a quello della popolazione anziana che risiede nella parte di città che non è centro storico (22,8%) e non distante da quello medio nazionale (20,8%). Pescara, Treviso, Venezia e Siena hanno il maggior numero di anziani, nel centro storico del capoluogo abruzzese gli over 65 sono addirittura il 52,2% della popolazione residente. Palermo, Taranto, Modena e Grosseto sono invece le realtà dove il processo di "ricentralizzazione" si e' basato soprattutto sulle fasce demografiche più giovani e in età lavorativa.
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Nella Città Vecchia di Taranto, dove molte attività produttive sono state avviate da giovani, gli anziani sono diminuiti del 31,6%. "Certamente i centri storici si presentano come luoghi dove nascono pochi bambini - sottolinea la ricerca - ma se misuriamo la dinamica tra 2001 e 2011 della popolazione con meno di 15 anni, vediamo come siano in atto interessanti fenomeni di crescita in alcune realtà" ad esempio nel centro storico di Verbania i giovani sono cresciuti del 68,8%, a Prato del 67,8%, a Latina del 37,6%. Di contro il centro storico di Siracusa ha perso nel 2011 il 34,3% dei giovani che c'erano nel 2011, Brindisi il 31,6%, Foggia il 27,7%. Sud, quindi, grande protagonista della crisi delle nascite.
Il 73% delle famiglie che abitano i centri storici dei comuni capoluogo è di piccolissima dimensione, composta cioè da uno o due persone. Il record lo detiene Roma, dove nel perimetro delle Mura Aureliane il 62% delle famiglie è composto da una sola persona. Seguono Genova (58,7%), Bologna (58,3) e Perugia (57,9). Il Sud resta il baluardo della famiglia tradizionale: nelle città pugliesi si registra infatti la percentuale più bassa di famiglie uni-nucleari tra i 109 centri storici esaminati, tutte con percentuali attorno a 30%. Ma tutto il Mezzogiorno presenta ancora valori più contenuti rispetto a quelli del Centro-Nord anche se è prevedibile che la situazione si adeguerà rapidamente.
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Attenzione al "rischio Airbnb"
"Da questa ricerca sono emersi dei numeri impressionanti sulla dinamicità economica dei centri storici italiani. Sono il motore dell'economia del Paese", ha detto il presidente dell'Associazione Nazionale Centri storico-artistici (Ancsa), Francesco Bandarin, "I centri storici italiani sono delle vere e proprie macchine occupazionali", ha aggiunto. Sottolineando il rischio che "con nuovi attori, quali Airbnb, si trasformino in enormi villaggi turistici". "Sessant'anni fa - ha proseguito Bandarin - si fece una grande battaglia per i centri storici e si riuscì a fare delle importanti riforme urbanistiche negli anni sessanta, settanta e ottanta del secolo scorso, ma ora bisogna intervenire sui nuovi fenomeni, come quello della gestione degli alloggi, e capire quale può essere il ruolo della tecnologia".