Venti anni dopo l’omicidio della studentessa Marta Russo, “la vicenda non è più un enigma, ma un caso chiuso”. Almeno dal punto di vista giudiziario. Ne è convinta sua sorella Tiziana che però qualcosa da dire ce l’ha ancora e per questo motivo, per la prima volta da quel tragico 9 maggio del 1997, quando una pallottola colpì Marta alla nuca nel cortile della Sapienza, ha deciso di rompere il lunghissimo silenzio con un libro. Edito da Log (Edizioni Guerini), il libro si intitola semplicemente “Marta Russo, mia sorella” perché - ha spiegato l’autrice all’Agi - al contrario di altre pubblicazioni uscite negli anni - alcune delle quali ribaltano la sentenza che “ha condannato a 5 gradi di giudizio i colpevoli: Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro” - Tiziana non vuole tornare sul processo.
No, l’obiettivo è un altro, e cioè quello di “riappropriarsi di sua sorella e farla conoscere all’Italia, mostrando il suo volto umano”, ’trasfigurato’ da quello che fu “il primo caso di cronaca nera diventato mediatico”.
Fare i conti con la grancassa mediatica
Ed è su questo che insiste soprattutto Tiziana: “Se da un lato la grancassa mediatica ha aiutato ad andare fino in fondo, alla ricerca di una verità che poi è arrivata”, dall’altro ha travolto la famiglia Russo in “un turbinio di rinnovato dolore” con, cui forse, hanno potuto fare i conti solo a processo finito. In questa “spettacolarizzazione del dolore” Tiziana ha smesso di essere se stessa per diventare la sorella di Marta Russo. “Per un periodo sono anche scappata da Roma, ma non è servito. Così sono tornata e ho affrontato il mio lutto”. La copertura mediatica aveva innescato dinamiche nuove, oscure allora. “Nessuno sapeva come comportarsi: in quegli anni c’era chi ci avvicinava per curiosità, chi per pietà, chi per venerazione”. Solo anni dopo Tiziana è riuscita a riappropriarsi della sua identità. “A un certo punto ho capito che quella non era la ragazza uccisa ma Marta. Mia sorella. Dietro quella foto stampata nell’immaginario collettivo, c’era una ragazza con i suoi sogni, con una famiglia e con un volto umano che dopo la tragica vicenda non ha mai più avuto”.
Mia sorella non era una santa
Nel libro Tiziana ripercorre la sua vita e quella di sua sorella, dall’infanzia fino alla morte di Marta. Una storia fatta di giochi, di amicizie, di liti, di gelosie tipiche dell’adolescenza (“da parte mia che vedevo Marta più bella di me”) di allontanamenti e di riavvicinamenti. Un percorso simile a quello di tantissimi altri fratelli, ma che Tiziana aveva totalmente rimosso: “Avevo cancellato i ricordi belli e quelli brutti perché entrambi erano troppo dolorosi”. Poi continua: “Ho sfogliato dei ritagli di giornale conservati all’epoca da mio padre: c’erano le immagini del corteo funebre. Sapevo di esserci stata ma non ricordavo nulla”. “Riportarli alla memoria è stato terapeutico e mi ha permesso di non cadere nell’errore di perdere mia sorella per la seconda volta”.
Marta era una ragazza positiva che in un periodo di depressione si chiese sulle pagine del suo diario “come potesse rendersi utile al mondo”. Quello fu il suo testamento involontario da cui i suoi genitori, “mutilati nel corpo e nell’anima”, trovarono la forza di donare i suoi organi e di diffondere la cultura della donazione attraverso l’organizzazione da loro fondata “Marta Russo onlus”. Ma di sicuro Marta non era una santa – nel senso letterale del termine - come molta gente credette dopo la sua morte. “Era entrata in tutte le case, soprattutto qui a Roma” e, man mano che il processo andava avanti, Marta è diventata prima la sorella d’Italia, poi un’icona e, infine, per molti persino una santa. “Sulla sua tomba abbiamo raccolto migliaia di lettere di persone che le chiedevano aiuto nel superare un momento difficile, una prova d’esame, un conflitto con la persona amata”. Tiziana sa bene che sua sorella non era una santa, ma prova gratitudine nei confronti di queste persone che hanno fatto sentire la loro vicinanza alla famiglia.
La domanda rimasta senza risposta
Se l’omicidio di Marta ha commosso così tante persone il motivo è anche che la giovane studentessa di Giurisprudenza è stata colpita all’interno della Città Universitaria. Nel cortile del suo ateneo. Fuori dall’edificio della facoltà che aveva scelto per costruire il suo futuro. Un luogo - in teoria - al riparo dai pericoli dove si formano i futuri cervelli del Paese. Per la presentazione del suo libro, che si terrà il prossimo 15 dicembre alle 16, Tiziana ha scelto proprio alla Sapienza. Per scrivere “la parola fine dove tutto è iniziato”. E per ringraziare un ateneo che molto si è speso negli ultimi anni per preservare la memoria di Marta Russo: “Hanno intitolato un’aula a mia sorella e da poco hanno istituito anche una borsa di studio in suo nome”. Lo stesso rettore, Eugenio Gaudio, interverrà alla conferenza stampa del libro sulla vittima di quello che è ormai noto alle cronache come il “delitto della Sapienza”. Ma da circa 20 anni una domanda resta senza risposta nella mente di Tiziana: perché negli anni del processo l’allora amministrazione dell’ateneo assunse un atteggiamento diffidente, quasi omertoso, nei confronti delle indagini? “Avrei voluto un atteggiamento differente, come quello che poi è arrivato”.
L’omicidio della Sapienza
Il 9 maggio del 1997, intorno alle 11:42, Marta Russo, studentessa di 22 anni di Giurisprudenza, viene colpita alla nuca da un proiettile calibro 22. Stava passeggiando con l’amica Jolanda Ricci in un vialetto della città universitaria.Trasportata in coma al Policlinico Umberto I, morirà quattro giorni dopo, in seguito alla decisione dei genitori di staccare la spina e permettere ai medici di effettuare l’espianto degli organi, seguendo un desiderio espresso dalla figlia qualche tempo prima. Ai funerali all'ateneo parteciperanno Romano Prodi, Walter Veltroni, Luciano Violante e Luigi Berlinguer. Mentre Papa Giovanni Paolo II invierà un messaggio. Chi sparò a Marta Russo? Sei anni dopo il delitto il dottorando di Filosofia del Diritto, Giovanni Scattone, verrà condannato in via definitiva per omicidio colposo aggravato a 5 anni e 4 mesi, mentre il collega Salvatore Ferraro a 4 anni e due mesi per favoreggiamento. I due si dichiareranno sempre innocenti.
L’appello di Tiziana ai giornalisti
Venti anni dopo Tiziana qualcosa vuole dirlo anche ai giornalisti: “Tutelate di più la vittima”. E i suoi familiari. “Abbiamo visto l’assassino di mia sorella e il suo complice ospiti in tv, siamo stati inseguiti ovunque pur di catturare un gesto o una lacrima. Questa spettacolarizzazione del dolore non va a favore della vittima”. Il primo ricordo di Tiziana con i giornalisti risale proprio al 9 maggio del 1997: “Quel giorno ero stata anche io all’università, ero appena rientrata a casa ma non avevo trovato nessuno. I miei erano in ospedale ma io non potevo saperlo. Poco dopo suonarono al citofono alcuni uomini della DIGOS, li feci entrare, mi spiegarono con molta delicatezza che mia sorella era stata ferita ma non capii quanto fosse grave. Mi accompagnarono in questura e poi in ospedale. Appena uscii dal portone di casa trovai i primi giornalisti che avevano saputo la notizia”.