“Sconfiggere le fake news? Probabilmente non ci riusciremo mai, ma possiamo imparare a conoscerle e arginarle”. 48 anni, esperto di comunicazione digitale e imprenditore quando è stato “costretto a diventarlo” per vedere realizzati alcuni suoi progetti, Marco Camisani Calzolari da questo anno accademico sarà uno dei primi insegnanti italiani di fake news. Milanese, vive a Londra da anni da dove farà la spola con Roma che adesso “sta diventando sempre di più il centro delle mie attività in Italia”. Questa l’ultima: una cattedra in comunicazione digitale. Cercando in rete non si trovano corsi di laurea simili a quello che terrà all’Università europea di Roma dal prossimo anno accademico: “Fake news, post verità e hate speech”.
Al momento non risultano altri corsi come il suo. Ma sappiamo che quello delle fake news e delle bufale è un tema assai recente. Perché un corso di laurea del genere?
“Perché oggi qualunque genere di comunicazione, anche legata al business, è influenzata da quello che consentono gli strumenti digitali. I social media sono in grado di diffondere ad un pubblico enorme dei contenuti falsi. Non è solo un problema di opinione pubblica. Qualcuno potrebbe diffonderne anche per influenzare un mercato specifico. Per questo è importante saper riconoscere la veridicità delle informazioni. Possono influenzare l’opinione pubblica, e lo sappiamo, ma anche un mercato”.
Sfogliando il suo curriculum si legge che ha un percorso sia di imprenditore che di esperto di comunicazione digitale. Quando ha cominciato ad interessarsi di fake news?
“In realtà io non sono un vero imprenditore. A volte ho dovuto farlo per portare avanti progetti che altrimenti non avrebbero visto la luce. Sono soprattutto un esperto di comunicazione digitale e da 25 anni me ne occupo in tutte le sue forme. Nel 2010 circa ho cominciato ad interessarmi di questo mondo fake, la mia prima esperienza è stata con il tema dei fake follower di Twitter. Da lì ho cominciato ad entrarci, ben prima che diventassero un tema così attuale”.
Ce n’è una che l’ha colpita particolarmente? Quella che le ha fatto capire che il mondo delle informazioni false e manipolate poteva diventare oggetto di studio?
“Sicuramente quello dell’hacking russo durante le elezioni americane. Un hacking che non è stato ‘fisico’, ma più che altro mediatico”.
Ci spiega cosa intende?
“Il tema delle mail della Clinton ha spostato l’attenzione su altri aspetti, come quello sulla sicurezza, ma il tema vero erano le informazioni contenute nelle mail. E’ stato a mio avviso più un hacking mediatico che fa fatto diventare notizia qualcosa. Qualcuno ha deciso che quel fatto era notiziabile, anche se i contenuti rubati non erano poi così importanti. E poi l’altro caso eclatante è stata la Brexit e la quantità di informazioni false fatte circolare da una parte politica per favorirla. Con effetti che vediamo ancora oggi”.
La retorica politica però ha sempre avuto questo come obiettivo.
“Infatti il problema della retorica e dei suoi effetti non è stato inventato oggi. Oggi però ci sono strumenti molto più potenti che consentono la diffusione di un falso messaggio. Quello che è importante è capirlo e disinnescarlo per tempo. E a volte nemmeno basta. Pensa a quella falsa ricerca che ha portato a scovare una correlazione tra vaccini e autismo. La ricerca si è scoperta falsa, ma il danno era ormai fatto”.
Quando parliamo di fake news siamo immediatamente portati a pensare ad un concetto che si è molto diffuso nell’ultimo anno, soprattutto dopo un noto editoriale del Guardian. Quello della post-verità, che dà a questo fenomeno una connotazione storica precisa. Viviamo davvero nell'epoca della post-verità?
“E’ un fenomeno reale. Provo a spiegarlo con un esempio. Ricorda quando alla prima elezione di Obama si diffuse la notizia che fosse di origine musulmana, addirittura che non fosse nato in America? Non era assolutamente vero, lo si è scoperto settimane dopo, ma ammetterà che era verosimile. Quella verosimiglianza di una notizia falsa lascia delle tracce nel nostro cervello e quando qualcuno riprende quell’accusa, anche a distanza di tempo, noi siamo portati a crederci almeno un po’, almeno all’inizio. Il vero problema è che aumentando il numero di informazioni disponibili, aumentano anche quelle false. E averle ‘immagazzinate’ e poterle richiamare in qualsiasi momento è un problema serio. Per arginarle serve una conoscenza specifica dei temi e degli strumenti di comunicazione”.
Qual è la differenza tra fake news e bufale?
“Hanno scopi e logiche diverse. La bufala spesso ha una motivazione più economica: diffondo una notizia falsa facendo leva su sospetti o teorie campate per aria per per farla girare tanto e monetizzare il traffico. Spesso si legano ai temi della politica, ma generalmente non hanno una motivazione politica. Il mondo fake news invece è più legato alla politica e alla sua retorica. Diffondere ad arte delle notizie per creare consenso o dissenso su temi specifici. In Italia succede spesso con gli immigrati, con i rom per esempio".
Secondo lei qual è il ruolo del giornalismo oggi?
“Oggi il giornalista è l’unico garante dell’informazione, perché di lavoro deve riportare i fatti e non essere mai coinvolto con la notizia di cui sta parlando. Facebook da solo non può diventare il garante contro le fake news, in sé non garantisce nulla, a Facebook serve il buon giornalismo. Il giornalista ha oggi più che mai l’obbligo di aderire ai fatti e essere autorevole, e credo che diventerà un lavoro sempre più complicato”.
Ci saranno sempre quelli che non crederanno ai giornali, preferendo verità di parte o che confermano i loro pregiudizi.
“E’ inevitabile. Quello è il mondo in cui prolificano le notizie false, le bufale e le teorie dei complotti”
Vinceremo la battaglia contro le fake news o dovremo imparare a conviverci?
“Vuole la mia? Non sconfiggeremo mai le fake news e le bufale. L’unica arma che abbiamo è il pensiero critico. Ed è davvero tutto lì. Noi proveremo ad arginarle, ma sono sicuro che in futuro saranno sempre più raffinate, come nel video in cui con un fotomontaggio si fanno dire cose a leader politici che non hanno mai detto. Ci sarà una battaglia, ma non la vinceremo. Dovremo esercitare sempre il dubbio se quello che leggiamo sia vero o meno, specie se lo leggiamo su fonti non autorevoli e che hanno una grammatica precisa.
In cosa riconsciamo questa grammatica?
"Le fake news ad esempio non hanno quasi mai autore, spesso vogliono farci credere cose dicendo che nessuno ce le dice, o suscitano rabbia nei confronti di qualcosa, parlano alla pancia, sono scritte su siti non registrati, testate giornalistiche che giornalistiche non sono. Ma serve coltivare il dubbio. Ed è quello che dobbiamo cominciare a fare”.
@arcangelorociola