Lara Bombonati, alias Khadija, è in carcere alle Vallette di Torino, reparto alta sicurezza, per terrorismo. Di questa 26enne, convertitasi all'Islam dopo aver conosciuto il marito Francesco Cascio e finita nelle maglie dell'Isis, si sa poco.
Il viaggio in Siria con il marito foreign fighter
Con il consorte, foreign fighter originario di Trapani, era partita giovanissima alla volta della Siria del Califfo Abu bakr al Baghdadi. Ai genitori, residenti a Garbagna (Alessandria), in frazione San Vito, aveva raccontato che insieme a Mohammad, come si era 'ribattezzato' il marito, andavano a studiare il Corano in Turchia. Un viaggio senza ritorno per Cascio che sarebbe stato ucciso lì, forse in un'imboscata. E' stata lei stessa a dirlo in una telefonata in Italia, senza sapere di essere intercettata, parlando della sua morte da "martire".
In carcere a Torino, attende la convalida dell'arresto
Il suo arresto non è stato ancora convalidato, deve essere fissata l'udienza, ma Lara-Khadija è indagata "per aver partecipato a un’associazione che si propone il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo... facendo parte del battaglione qaedista". Per gli inquirenti, riporta il Corriere, la ragazza sarebbe stata una "staffettista". Avrebbe "fornito sostegno alle famiglie dei combattenti del gruppo rimasti uccisi e accompagnando il leader della milizia Abu Mounir", di cui si dice fosse succube.
Dall'espulsione dalla Turchia al materiale sequestrato in Italia
Fermata al confine tra la Turchia e la Siria nel gennaio scorso, era finita in un carcere turco per essere poi espulsa. Le autorità l'avevano segnalata in Italia ed era diventata una sorvegliata speciale. Giovedì 22 giugno è stata fermata dagli uomini della Digos di Alessandria, su ordine della procura di Torino: il timore reale è che ripartisse per la Siria, dopo la debacle dell'inverno scorso.
Il materiale sequestrato potrebbe aiutare a capire meglio le circostanze della morte del marito, ma anche se lei stessa abbia avuto un ruolo nella propaganda su internet che cerca di fare proseliti in Occidente. Per il Secolo XIX, "si tratta di un segnale importante, secondo gli investigatori e gli apparati di sicurezza, perché questo caso segna un preoccupante innalzamento del livello di penetrazione della minaccia jiahdista in Italia. Ma - aggiunge il quotidiano - serve cautela. Il fermo della donna è solo un primo passo di un'indagine che coinvolgerebbe una rete più estesa di fiancheggiatori".