“L’uomo detenuto a Palermo per traffico di esseri umani non è Medhanie Yehdego Mered. Mio marito è libero”. Lidya Tesfu, 24enne eritrea, non ha alcun dubbio: le autorità italiane e britanniche hanno catturato l’uomo sbagliato e quello dietro le sbarre non è il “Generale”, boss della tratta di esseri umani dall'Africa all'Europa, sospettato anche di essere l’autore del naufragio del 2013 al largo di Lampedusa in cui persero la vita 368 persone. Lidya ha raccontato la sua verità al giornale regionale online Meridionews, e le sue dichiarazioni sono state rilanciate anche dal quotidiano britannico Guardian, che da mesi sostiene la tesi dello scambio di persona.
Lo scorso giugno il pubblico ministero di Palermo ha annunciato la cattura di Mered, eritreo di 35 anni, considerato tra i capi di una grande organizzazione internazionale che gestiva il traffico di migranti verso l’Europa coinvolgendo in viaggi della speranza almeno 13 mila persone ogni anno. L’uomo era stato estradato il 7 giugno scorso in Italia dal Sudan grazie all’aiuto dell’Agenzia nazionale per il crimine britannica (NCA).
Chi è l’uomo dietro le sbarre
Un ragazzo eritreo di 29 anni starebbe scontando la pena al posto del “Generale” nel carcere Pagliarelli. La sua colpa? Chiamarsi Medhanie Tesfamariam Berhe e aver stretto amicizia con Lidya Tesfu su Facebook. Le autorità italiane e inglesi sono arrivate al giovane eritreo attualmente sotto processo insospettiti dal nome Medhanie Meda tra i contatti della donna. Questo significa che tutti i miei contatti di nome Medhanie sono mio marito? - sostiene Lidya, che vive in Svezia con il figlio avuto dal trafficante di esseri umani - È un crimine dire una cosa del genere. Ho già detto che Medhanie Tesfamariam non è mio marito”. E i due non si sarebbero “mai visti né conosciuti da nessun'altra parte”. Le autorità giudiziarie sostengono che Berhe sia uno pseudonimo di Mered. “E’ ridicolo”, ha commentato Lidya.
Le indagini
Come raccontato da Il Post, le intercettazioni telefoniche sono state decisive per la cattura. “I magistrati hanno intercettato per mesi il cellulare di Mered raccogliendo informazioni sul suo conto e sulle sue attività. In una telefonata nella primavera del 2014, parlava con un amico chiedendogli consigli su dove depositare il denaro raccolto con le sue attività, e spiegava che in Eritrea stava per comprare una casa da “13 milioni”, senza specificare in quale valuta. Nell’estate dello stesso anno diceva in una telefonata di avere lavorato molto bene e di essere riuscito a far partire tra le 7mila e le 8mila persone, dalla Libia verso l’Italia. In un’altra telefonata intercettata nell’agosto del 2014 spiegava che le autorità italiane intervengono quasi subito, non appena avvistano un barcone in acque internazionali, facendo intendere che non ci sono particolari rischi. A fine mese, però, aveva ricevuto una telefonata dove gli veniva comunicato che su 400 migranti partiti su un barcone ne erano sopravvissuti solo quattro”.
La tesi dello scambio di persona
Subito dopo l’arresto di Medhanie Tesfamariam Berhe sono arrivate le prime denunce di scambio di persona. Soprattutto dai quotidiani britannici, ma non solo: tra i primi a parlare sono stati proprio alcuni rifugiati che avevano avuto contatti con il vero trafficante e che non avevano riconosciuto l’uomo. A novembre, il Guardian ha pubblicato il contenuto di una chat privata su Facebook in cui il vero Mered avrebbe detto a un amico: “Hanno fatto un errore con il suo nome. Spero venga rilasciato al più presto. Lo sanno tutti che non è lui il trafficante. Mi dispiace, sta pagando in carcere al posto mio”, aggiungendo: “C’è tanta altra gente che lavora e guadagna più di me. Io sono solo uno dei tanti”. Sempre a sostegno della tesi dello sacmbio di persona, inoltre, il quotidiano, inoltre, ha diffuso alcune foto private che ritraggono Medhane Yehdego Mered alla celebrazione del matrimonio di suo nipote nell’ottobre 2015 sottolineando la scarsa somiglianza tra i due uomini.
A inizio anno, sulla vicenda si è espresso anche il ministero degli Esteri eritreo, secondo cui il giovane detenuto a Palermo non è il trafficante di uomini. Una settimana dopo, il Tribunale del Riesame di Roma ha confermato l'ordinanza di custodia cautelare in carcere per il Generale. Intanto Mered è attualmente sotto processo.
“Mio marito ha chiuso con quel lavoro”
Quanto a suo marito, sostiene Lidya, sarebbe uscito dal giro nel 2015. “Quando ci vediamo gli chiedo di lasciare questo lavoro e lui mi dice sempre di averlo fatto. Quello che dicono gli altri sono tutte bugie. Lui ha smesso nel 2015. Perché continuano ad accusarlo per un lavoro fatto da altri?”. E rilancia: “Come mai il governo italiano lo cerca così tanto? I viaggi dalla Libia all'Italia sono iniziati molto tempo fa e lui non è l'unico che lavora in questo modo al confine”.