Partito nove mesi fa
Nove mesi or sono è partito per la Siria e adesso fa parte dello Ypg. "Lo Ypg è l'Unità di difesa del popolo - spiega - che difende i popoli della confederazione democratica della Siria, conosciuta da tutti come Rojava. Prima di venire qua ho sempre militato nei movimenti e portato avanti le lotte sociali in favore degli sfruttati, dei poveri e degli immigrati. Ciò che mi ha spinto a venire in Siria sono le atrocità commesse dall'Isis e la scelta di quei popoli che vivono nel nord della Siria: non stanno né con Assad né con i ribelli e hanno deciso di creare un autogoverno, criticando la costruzione di uno Stato nazione e auspicando la creazione di Confederazioni". La paura è ben chiara nelle parole del 26enne siciliano ma, più che il timore di perdere la vita, vi è quello di "rimanere senza gambe, senza occhi perché magari salto su una mina, una di quelle che i combattenti dell'Isis mettono per ammazzarci quando liberiamo qualche città o mentre avanziamo verso Raqqa".
Al confine con il Kurdistan iracheno
Sì, proprio Raqqa, la capitale del Califfato: "Ho partecipato - racconta all'Agi - all'operazione di avvicinamento a Raqqa e ho combattuto sul fronte di Manbij. L'ultima operazione a cui ho partecipato è stata quella con l'Antifatabur, un'unità antifascista di internazionalisti dello Ypg. Con loro abbiamo liberato la città di Al Karamah che si trova ad est di Raqqa. Molti miei amici sono morti combattendo contro l'Isis in queste operazioni e molti di loro erano europei uniti allo Ypg come me. A loro va il mio pensiero". Oggi Paolo si trova a Karacok, al confine con il Kurdistan iracheno. "La notte del 24 aprile, questa zona è stata bombardata dall'esercito turco, nemico da sempre dello Ypg. La nostra base non è stata colpita ma quella a poche centinaia di metri da noi purtroppo sì e hanno perso la vita 12 compagne e 10 compagni che ben conoscevo. In quella base potevo esserci io".
Isis governa solo grazie agli orrori
Proviamo a domandare come siano i combattenti dell'Isis e il 26enne siciliano non fa giri di parole. "Quando li combatti senti urlare 'Allah Akbar', cercano così di sfruttare l'aspetto psicologico e incuterti paura. Per i miliziani di Daesh è palese che quel grido diventi uno strumento per fare paura, è un'arte che hanno acquisito allenandosi e che inquieta molto. L'Isis governa solo grazie agli orrori e alla violenza usata sul popolo. Se, ad esempio, un uomo non fa rispettare la Sharia alla moglie, lui viene torturato e la donna rapita, il tutto fino a quando il marito non la costringa al rispetto".
Se si può non si uccide
"Uccidere non è mai semplice - ammette - anche quando sai che hai davanti persone senza scrupoli", ma per 'Pachino’ è una cosa "necessaria e inevitabile. Non si uccide mai per piacere, se si può, si evita. Uccidere a caso - spiega - è contro la nostra etica e contro l'etica dello Ypg. Si uccide solo per necessità, per difendere un popolo e sconfiggere l'Isis che da anni stupra, uccide e sgozza, allo scopo di imporre la sua ideologia. Se non fosse necessario non lo faremmo ma purtroppo lo è".
Soccorsi ai nemici
Eppure spesso capita di soccorrere i militari di Daesh. "Se feriamo un combattente e gli impediamo di farsi esplodere (perché spesso tentano di farsi saltare in aria), più che prenderlo prigioniero, cerchiamo di soccorrerlo. Io sono ateo e credo che l'Islam per loro sia solo una scusa. Il loro è solo fanatismo. Usano la religione per plagiare le menti". Quindi un appello 'dal fronte’ alla comunità internazionale: "Devono smetterla di fare il doppio gioco. La verità è che la comunità internazionale 'gioca’, una volta con noi, una volta con i turchi. Così non si fa che dare respiro e vita all'Isis. Lo Ypg è l'unico esercito sul campo che sta riuscendo a sconfiggere l'Isis, tanto è vero che siamo arrivati alle porte di Raqqa. Quanto accade a Mosul in Iraq è un esempio lampante, si va avanti da mesi e sono bloccati. Noi, a differenza di quello che succede a Mosul, cerchiamo di salvaguardare i civili, al costo di sacrificare le nostre vite, limitando i bombardamenti della coalizione internazionale. Cerchiamo di coordinarci per far bombardare solo i miliziani Daesh. Prima vengono i civili che, purtroppo, spesso vengono usati come scudi umani e, se ciò succede, combattiamo noi, magari anche morendo ma sul campo, per salvare molte più vite umane".
Alla vita normale solo dopo presa di Raqqa
Infine, il ritorno alla vita normale, non prima però di "essere arrivati a conquistare Raqqa. È questo uno dei miei sogni", conclude Paolo. È un sogno che "ho insieme ad altri, altrettanto ambiziosi: "Affinché tutto il Rojava possa realizzare la rivoluzione che sta portando avanti e che i popoli della Siria vivano liberi da ogni tirannia. Il Medio Oriente deve smetterla di soffrire e pagare le guerre create e volute dalle potenze mondiali".