Roma - Il progetto di un'intelligence europea in grado di far fronte alla minaccia terroriostica è destinato a restare un'utopia. Ne è convinto Marino D’Amore, docente PHD di scienze criminologiche alla Ludes University, secondo cui gli attacchi terroristici che hanno colpito l’Europa mostrano come il fenomeno del terrorismo islamico stia vivendo un processo evolutivo che ne accresce la recrudescenza, limitandone pericolosamente la monitorabilità e i possibili interventi di prevenzione.
Perchè non crede nel progetto di intelligence europea?
Ci sono ovvie problematiche di coordinamento che imporrebbero l’egemonia di uno stato leader, subordinando gli altri a mere azioni di supporto, senza contare i deficit di abilità nel campo e le diverse modalità di lavoro, figlie di background storico-culturali diversi.
Un'azione coordinata a livello continentale quindi è impensabile?
Qualcosa si può fare: attivare un maggiore flusso d’informazioni e di collaborazione tra le varie intelligence nazionali, cercare forme di collaborazione con l’Islam moderato quantomeno nell’azione preventiva, monitorare gli sbarchi di immigrati in modo condiviso e internazionale, ma soprattutto accantonare qualsiasi forma di demagogia o populismo e mettere in campo una seria riflessione che aiuti ad arginare gli effetti di una guerra, diversa, imprevedibile e sempre più sanguinosa. Una guerra che si connota ogni giorno di più di significati religiosi che offuscano quelli politici e economici pur fortemente presenti con tutte le loro terribili conseguenze.
Come è cambiata la strategia fondamentalista?
E' palese che il classico modus operandi delle bombe, dei kamikaze o dei commandi ha lasciato spazio a mine vaganti pronte a porre in essere un attentato con qualsiasi mezzo: il camion impazzito a Nizza o lo sgozzamento del prete a Rouen rappresentano una prova fattuale di questa drammatica evoluzione. Tale cambiamento radicale diminuisce ancora di più le possibilità di intervento da parte dell’intelligence europea, posta difronte a uno scenario in cui chiunque può colpire in qualsiasi momento. Sotto questo aspetto ritengo che il tempo del buonismo, della sottovalutazione di certi rischi, del “restiamo uniti” finalizzato a alimentare una sicurezza globale percepita o fattuale, debole come mai prima, sia giunto al termine.
Eppure si è esitato, nel caso di Nizza e di Ansbach, a parlare subito di terrorismo
È doveroso fare delle precisazioni: sotto il nome di terrorismo sono compresi fenomeni diversi tra loro. Ad esempio in Francia esistono, a Parigi e Marsiglia, periferie gonfie di degrado e isolamento sociale abitate da musulmani di seconda o terza generazione che trovano nell’islamizzazione delle proprie rivendicazioni un naturale sbocco nell’azione terroristica. Elementi che si uniscono a evidenti deficienze dell’intelligence di questo Paese o di quell’area, vedi il Belgio, nazioni colte più volte impreparate a determinati, drammatici eventi. Occorre anche fare i conti con i lupi solitari, i quali agendo da soli non hanno bisogno di particolari pianificazioni logistiche o vincoli organizzativi, aspetti che ne limitano fortemente il controllo. Inoltre tali modalità di attacco esacerbano la visibilità dell’atto stesso, alimentandone la spettacolarizzazione, ormai parte integrante dell’attentato stesso, pensate solo alle televisioni collegate in diretta simultaneamente nei luoghi colpiti. (AGI)