Roma - "Sono morto quella notte", lo dice Francesco Schettino in un'intervista pubblicata oggi da La Stampa, rievocando il naufragio della Concordia: condannare solo l’equipaggio è molto comodo per le esigenze assicurative e costituisce un passo indietro nella cultura della sicurezza marittima.
"Non ho sbagliato io la rotta", rimugina Schettino. "Stavamo a mezzo miglio dalla costa e a quella distanza il governo della nave è affidato alla guardia, non al comandante. Lo dice il codice di navigazione e infatti hanno patteggiato tutti. Il primo ufficiale, Ambrosio, che faceva le misurazioni nautiche. Il terzo, Coronica, che guardava il radar. L’ufficiale subentrante, Ursino, che non si capiva bene cosa facesse. E nessuno ha fiatato, non uno che dicesse: comandante, siamo alla distanza minima! Attenzione!".
E poi il timoniere Rusli Bin, che non capiva nemmeno l’inglese e non è stato trovato dall’Interpol che lo ha cercato ovunque ma non a Giacarta, a casa sua, dove invece lo ha scovato il Secolo XIX con una telefonata: "Io ho obbedito agli ordini e di quella notte non voglio ricordare più niente".
La scatola nera testimonia che l’ultimo ordine fu di virare a sinistra e Rusli Bin virò a dritta, forse era in preda al panico, forse equivocò. Le paratie stagne non erano stagne per niente "ma le hanno demolite con la Concordia", scuote la testa l’avvocato Saverio Senese, "così non abbiamo più le prove. Le testimonianze sì, ma evidentemente non bastano".
Se la sentenza sarà confermata in Cassazione, Schettino varcherà il portone del carcere: "Pago io, per tutti". Nel video che Schettino ascolta ogni giorno, mai pubblicizzato dai media, si sente la Capitaneria di Porto San Giorgio chiamare Livorno: "Il comandante della Concordia dice che le nostre motovedette sono nel posto sbagliato...". Lontano dalla nave che stava per rovesciarsi. Poi telefonerà De Falco, che secondo Schettino vuole coprire il comportamento pavido dei suoi e urla: "Torni a bordo, cazzo"! (AGI)