Palermo - Una spirale di violenza senza fine. Palermo, negletta e maledetta, sembrava non poterne uscire. E gli spari che insanguinarono l'Epifania di 36 anni, avevano ucciso in quel momento il progetto e il sogno di una nuova Sicilia. Avevano fermato Piersanti Mattarella, presidente della Regione, allievo di Aldo Moro, l'esponente politico siciliano piu' illustre, lucido e ostinato propugnatore di una politica "dalle carte in regola". Una sfida, questa, insieme a quella per la verita' piena su questo delitto, ancora attualissima. Poco dopo mezzogiorno di quel 6 gennaio 1980, Piersanti Mattarella era uscito dalla sua abitazione di via Liberta' e si era messo al volante della sua Fiat 132 per andare a messa, insieme alla suocera, alla moglie Irma Chiazzese e ai figli Maria e Bernardo. Niente scorta: il presidente la rifiutava nei giorni festivi, voleva che anche gli agenti stessero con le loro famiglie. Si era appena messo al volante, quando si avvicinarono i killer che spararano una serie di colpi. Mattarella mori' mezz'ora dopo in ospedale. Accanto a lui il fratello Sergio, oggi Presidente della Repubblica. L'Isola venne ricacciata violentemente dentro il suo destino, apparentemente privo di vie d'uscita. Questa stessa zona della citta', quella attorno a via Liberta', cuore urbano del capoluogo, in quegli anni era diventata il crocevia del terrorismo mafioso: li' vicino, in via Di Blasi, il 21 luglio del '79 era stato ucciso il capo della Mobile Boris Giuliano.
A settembre del 1980, era stata la volta del giudice Cesare Terranova e del maresciallo Lenin Mancuso.
Una scia di sangue, iniziata quell'anno, a gennaio, con l'uccisione del giornalista Mario Francese. Poi era toccato al segretario provinciale della Dc Michele Reina: delitto che molti hanno interpretato come un messaggio diretto al capo della giunta siciliana. Gia' negli ultimi mesi del 1979, Mattarella si era reso pienamente conto che la propria sorte e la propria vita erano strettamente intrecciate all'evoluzione dei rapporti di forza tra politica e mafia e al peso che all'interno del suo partito avevano quegli uomini che - secondo lui - "non facevano onore al partito stesso" e che "bisognava eliminare per fare pulizia". Indicato all'interno della Dc come possibile leader nazionale del partito, Mattarella, che aveva dato vita a una giunta che aveva l'appoggio esterno del Pci - governo di 'Unione autonomista' fu definito - aveva piu' volte manifestato la propria insofferenza per le infiltrazioni mafiose all'interno del partito siciliano.
La vicenda giudiziaria è stata lunga e complessa e si è conclusa senza fare piena luce sull'omicidio. Come mandanti sono stati condannati all'ergastolo i boss della commissione di Cosa nostra (Toto' Riina e Michele Greco su tutti, con gli altri esponenti della cupola: Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Pippo Calo', Francesco Madonia e Antonino Geraci), ma l'inchiesta non è riuscita a identificare i sicari nè i presunti mandanti esterni. La vedova aveva riconosciuto in una fotografia l'estremista di destra Giusva Fioravanti come killer.
Ma un suo coinvolgimento fu smentito da diversi collaboratori, fra cui Masino Buscetta e Fioravanti venne assolto. Il presidente del Senato Pietro Grasso, giovane magistrato di turno in quella tragica Epifania, oggi, nel luogo dell'agguato, ha ribadito che "non c'è stato momento della mia vita professionale in cui non abbia cercato la verita. I mandanti sono stati tutti condannati, sebbene sia rimasta qualche ombra, come in tanti dei misteri del nostro Paese. Io non dispero, pero', circa il fatto che un giorno tutta la verita' verra' fuori. Non c'è dubbio che c'è stato un tentativo di depistaggio, il che lascia presupporre che ci siano delle parti ancora oscure". Resta la necessita', ha proseguito, di "una mobilitazione generale per realizzare quello che Piersanti Mattarella voleva: un Paese migliore, cambiato, assolutamente fuori dalle beghe della corruzione, del malaffare. Un Paese con le carte in regola, come diceva lui".
(6 gennaio 2016)